I 70 anni “ufficiali” del canto degli italiani (Corriere Nazionale)

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mameliGli italiani alla corte dell’Inno di Mameli

60 milioni di “fratelli” alla corte di Mameli

I 70 anni “ufficiali” del canto degli italiani

Un’estate ricca di eventi sportivi; gli europei di calcio e soprattutto i meravigliosi Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Ci commuoviamo all’unisono quando sale in alto il tricolore e vola in cielo il tanto amato “canto degli italiani”. Tiro a segno, tuffi, nuoto, scherma, fioretto, canottaggio, tutto appare come un sogno e ogni medaglia strappata con sudore e fatica è – per ognuno di noi – fonte inesauribile d’orgoglio. In quel contesto la politica si unisce, le divergenze ideologiche si annientano, il credo religioso scompare e – come per magia e (è giusto dirlo) grazie ai massoni – l’unione italica ci accomuna affettuosamente.

Nonostante ciò, non si riesce ancora a capire perché qualche “ben pensate” ce l’abbia ancora a morte con i tanto odiati “fratelli” massoni d’Italia. Quelle stesse persone che spesso siedono caldi e comodi sugli scranni più alti del nostro potere, che si alzano in piedi boriosi con fasce al petto e che muovono i labiali per mostrare la loro conoscenza della bella melodia, in realtà, sembrano disprezzare e discriminare l’antichissimo ordine iniziatico, pur sapendo benissimo che il nostro amatissimo Paese si nutre – sin dal risorgimento – di quei sani valori su cui poggia da secoli la Massoneria.

L’intero comparto sportivo non paga gli sbagli di un singolo atleta dopato, coloro che salvano le vite nelle corsie di ospedali giustamente non vengono demonizzati in toto per l’inettitudine di un singolo medico distratto e improvvisato, la classe politica si indigna quando viene alla luce la corruzione di qualche “mariuolo” isolato e l’imprenditoria che paga le tasse si sente ovviamente irritata dal finanziere che evade in paradisi fiscali. Non si capisce dunque perchè, in base alla teoria sbagliatissima della generalizzazione, la Massoneria (quella eccellente) viene da anni ghettizzata come se fosse il male assoluto della nostra società. Appaiono – inspiegabilmente – due pesi e due misure.

Eppure dovrebbe essere nota a tutti l’affascinante storia del “canto” o Inno nazionale che tutti oggi conosciamo con il nome di Fratelli d’Italia, scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nell’autunno del 1847.  Entrambi gli artisti non solo erano genovesi ma soprattutto devoti massoni. Il buon Mameli, profondo patriota, insieme all’altro massone Nino Bixio combatté per la tanto agognata unificazione d’Italia al fianco dell’Eroe dei due mondi; il Gran Maestro di grado 33 del Grande Oriente d’Italia, il fu’ Giuseppe Garibaldi! Goffredo infatti aiutò Bixio durante i moti di Milano con 300 volontari nella primavera del 1848 e – l’anno seguente – ancora giovanissimo e poco più che vent’enne, con il grado di capitano perse la vita nella famosa e gloriosa battaglia del Gianicolo.

Nell’immediato secondo dopo guerra (liberati dalla ferocia nazista grazie alle scelte strategiche dei maestri massoni statunitensi Franklin Delano Roosevelt e Harry Truman), la neonata repubblica italiana, il 12 ottobre 1946, decise di utilizzare definitivamente il capolavoro di Mameli e Novaro (a sostituzione della vecchia Marcia Reale) come inno provvisorio, ancora oggi in uso.

Ma è dell’onorevole repubblicano Cipriano Facchinetti, Ministro della Guerra del Governo De Gasperi ma soprattutto Primo Sorvegliante nel Consiglio dell’Ordine del G.O.I appartenente alla Loggia “Eugenio Chiesa” di Parigi, l’idea – ampiamente accettata dai colleghi – di scegliere il suddetto canto in occasione del giuramento delle nostre Forze Armate datato 4 novembre ‘46.

Stessa sorte (tanto per rimanere in tema di ufficialità), poco dopo, tocca all’attuale emblema della nostra patria, la stella a cinque punte o comunemente nota come “stellone” sovrastata da una ruota dentata d’acciaio, sorretta da un ramo di quercia sulla destra e uno d’olivo sulla sinistra. L’intenzione illuminante del disegnatore piemontese, anch’esso massone, Paolo Paschetto era quella di racchiudere e rappresentare in un unico vessillo gli altissimi significati sociali della nuova era post-bellica quali; solidarietà, lavoro, forza e libertà. Lo stemma del nostro Stato viene approvato dall’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1948 e suggellato con la firma del Presidente Enrico De Nicola il 5 maggio.

Per ciò che concerne l’Inno, nel 2012, con legge 23 novembre n. 222, si decide di prescrivere la conoscenza di esso nelle scuole unitamente ad altri importanti simboli della nostra nazione.

Dalla spedizione dei Mille agli Ori olimpici, “Fratelli” d’Italia è stato scritto e musicato dai due grandi massoni così come l’emblema che sovrasta le mura dei nostri uffici istituzionali. All’inizio – probabilmente – il Sig. Mameli con quel “Fratelli”, data la sua appartenenza all’ordine, non voleva rivolgere l’invito di unificazione della Penisola ai compatrioti, ai connazionali o ai conterranei ma solo ed esclusivamente ai suoi “con-fratelli”. E, se tanto mi da tanto, visto e considerato che quei pochi “Fratelli massoni” di un tempo a cui si riferiva Mameli sono oggi diventati inevitabilmente (visto il bel canto) un po’ tutti, ci appare quasi paradossale ma ironicamente logico che in certi particolari momenti il Bel paese sia composto da 60 milioni di orgogliosi Massoni!!!

Ciò che di bello è stato fatto anche dalla Massoneria (macchie P2 a parte) va detto, menzionato, ribadito e ben suffragato con i fatti. Ogni volta che ascoltate l’Inno e vi emozionate davanti ad un successo sportivo o ad una cerimonia istituzionale ricordatevi sempre quanto poc’anzi detto, poiché la conoscenza talvolta è tutto! Insomma, qualcosa di veramente positivo e bello questi “maledetti” Massoni pare che lo abbiano fatto nella vita; Inno, stemma, unificazione e perfino – per certi aspetti – la nascita della forma repubblicana.

E se qualcuno dovesse dissentire riguardo alla storia vera del nostro Paese chiosate come avrebbe fatto il Principe “Massone” (tanto per cambiare) Antonio De Curtis in arte Toto’; “Ma mi faccia il piacere”.

Mirko Crocoli

m.crocoli@redazione@corrierepl.it



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