Alcuni attimi di silenzio mistico e poi un uragano di applausi e standing ovation hanno accolto l’esecuzione al Musikverein di Vienna della Nona di Ludvig van Beethoven diretta da Riccardo Muti sul podio dei Wiener Philhannoniker. L’occasione i 200 anni della prima esecuzione della celeberrima sinfonia in re minore, avvenuta il 7 maggio 1824 al Teatro della Porta di Carinzia (attuale Opera di Stato) a Vienna, in presenza sul palco dello stesso Beethoven (afflitto ormai da sordità completa).
È una delle opere più note ed eseguite di tutto il repertorio classico ed è considerata uno dei più grandi capolavori della storia della musica, anche in quanto simbolo universale di unità e fratellanza tra gli uomini,Il tema del finale, riadattato da Herbert von Karajan, è stato adottato nel 1972 come Inno europeo. Nel 2001 spartito e testo sono stati dichiarati patrimonio dell’Unesco. Dell’originale, quattro pagine manoscritte della partitura custodita a Berlino alla Staatsbibliothek, rimarranno esposte a Vienna al Theater Museum fino al primo luglio grazie a Daniel Froschauer, presidente dell’orchestra, che illustrando la mostra ha ricordato che il testo di Schiller è un inno alla pace e già di per sé un monumento lirico struggente e che il poeta e drammaturgo tedesco, campione del romanticismo e della lotta per la libertà, lo aveva concepito come composizione per la massoneria, e infatti all’inizio il testo recitava “Inno alla libertà”.
Fu Beethoven a cambiarlo per la Nona in “Gioia”. Ma in occasioni storiche il testo originario è tornato. Come al concerto dopo la caduta del Muro di Berlino diretto da Bernstein, che al posto di gioia (Freude) fece intonare la parola libertà: “Freiheit schöner Götterfunken”, libertà, radiosa scintilla divina.
L’ Inno alla Gioia è stato piú volte al centro di interessanti incontri con grandi musicologi organizzati dal Grande Oriente. L’ultimo un anno fa, in occasione della Gran Loggia 2023 quando a parlare della celebre sinfonia fu in una vera e propria lectio magistralis il maestro Giovanni Bietti.
“Dico subito –esordí- che sono anni, decenni, secoli, che i musicologi si sforzano di dimostrare che anche Beethoven fosse massone. Non abbiamo nessuna documentazione a riguardo, mentre sappiamo benissimo che Mozart lo era. E Haydn era ugualmente affiliato a una loggia, anche se sembra che dopo l’iniziazione non abbia partecipato ai lavori…ma c’è una spiegazione al motivo per cui forse Beethoven non era mai diventato libero muratore, ed è perché a Vienna nel 1794-95, dopo la rivoluzione francese, le logge massoniche vengono ufficialmente chiuse dall’imperatore Leopoldo II”. Sta di fatto, ha proseguito il musicologo, che in questo testo, il testo di Schiller, “ci sono molte risonanze massoniche, soprattutto nella seconda versione”, quella del 1803 – la prima è del 1785 – che più attrarrà Beethoven e in cui compare un verso particolarmente caro al musicista che lo ripeterà nel corso della sua composizione, e che è questo: Tutti gli uomini saranno fratelli.
Non solo l’opera esce in un clima che non è più quello ricco di fermenti illuministici che aveva ispirato Schiller. Il 1814 1815 sono segnati dal Congresso di Vienna e dal progetto di restaurazione di Metternich, che nel 1819 approfitta di un attentato politico per promulgare i cosiddetti decreti di Karlsbad che sono un tentativo ufficiale di istituire un sistema di spionaggio statale. Si mettono sotto controllo i giornali, si proibiscono le riunioni studentesche. Questo è lo scenario, quando Beethoven decide di recuperare il testo di Schiller. Inno europeo, perché ? perché il contenuto che Beethoven vuole comunicare è proprio un contenuto di fratellanza universale. “Se voi considerate l’intera sinfonia, i quattro movimenti che la compongono, e non solo il finale, troverete delle caratteristiche particolari”, ha osservato, utilizzando il pianoforte per far capire al pubblico le differenze all’interno del percorso della Nona sinfonia.
L’intero lavoro è una metafora, evidentemente, la più potente che si possa realizzare attraverso la musica, del cammino illuminista, in cui il buio è il buio dell’ignoranza e dell’oppressione, e la luce è la luce della conoscenza e della libertà e fraternità, tema che viene annunciato dal baritono, “gioia bella scintilla divina”, la cui voce ci presenta la melodia, che viene elaborata in una serie di variazioni dal coro e dall’ orchestra.
Poi la musica si interrompe e il tenore canta una particolare strofa del testo di Schiller che tocca toni militareschi. Improvvisamente il ritmo cambia e nell’accompagnamento entrano alcuni strumenti che non erano mai stati usati in una sinfonia, questi strumenti sono strumenti militari, i piatti, la grancassa e il triangolo, gli strumenti che usavano nel Seicento i giannizzeri, il corpo scelto del sultano ottomano. Cosí Beethoven fa dialogare la cultura occidentale e orientale ed è la prima volta che succede nella storia della musica. E poi, c’è una terza sezione della sinfonia, che propone due ulteriori strofe del testo di Schiller: Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero! Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Ed è qui la musica di Beethoven diventa quasi un canto gregoriano, l’atmosfera è quella dell’adagio solenne, ed entrano gli strumenti più evocativi, i tromboni.
La Nona sinfonia è insomma un brano che si snoda dal buio alla luce, realizzando attraverso i suoni, la piu grande utopia che si possa immaginare del principio illuminista. È un cammino di conoscenza, un cammino iniziatico, che man mano che procede si arrichisce , si modifica e acquista nuovi significati che si stratificano progressivamente. Il senso profondo dell’operazione è in questa sintesi culturale, di elementi terreni, etici, religosi, sintesi anche di passato e presente, nell’idea che gli ideali di liberta, fraternità e uguaglianza siano possibili soltanto se affondano profondamente le radici nel passato, nella storia, perché la musica è arte del tempo naturalmente.