Cangrande della Scala (Verona, 9 marzo 1291 – Treviso, 22 luglio 1329), il mecenate di Dante Alighieri, il condottiero di cui il Poeta esule fu ospite e al quale dedicò la terza cantica della Commedia, non fu avvelenato, ma morì di glicogenosi tipo II a esordio tardivo, una malattia genetica rara, che provoca difficoltà respiratoria e improvviso arresto cardiaco. Un giallo, risolto dopo secoli grazie alle le analisi condotte sul suo dna dal laboratorio di Genomica Funzionale del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, diretto dal professor Massimo Delledonne. I risultati della ricerca sono stati presentati nell’ambito del progetto “Verona, Dante e la sua eredità 1321-2021” il 20 maggio al Museo di Storia Naturale cittadino. Il dna di Cangrande è stato prelevato sui resti mummificati di Cangrande nel 2004 quando venne aperta la sua arca funeraria.
Figlio di Alberto I della Scala e di Verde di Salizzole, Cangrande è stato l’esponente più conosciuto, amato e celebrato della dinastia scaligera. Signore di Verona dal 1308 al 1311 insieme al fratello Alboino e da solo dallo stesso anno fino alla morte, consolidò il potere della sua famiglia ed espanse quello della sua città fino a divenire, grazie ai suoi successi, guida della fazione ghibellina. Cangrande non fu solo un abile conquistatore, ma anche uno scaltro politico e un generoso mecenate, noto per aver assicurato protezione al Sommo Poeta che senza dubbio è stato la sua principale fonte di fama: Dante fu ospite a Verona tra il 1312 e il 1318, ma ebbe frequenti contatti con lo scaligero anche successivamente per via dell’amicizia che si era instaurata tra loro. Il fiorentino gli dedicò il Paradiso. Non solo, a Cangrande è indirizzata anche la Epistola XIII, nella quale fornisce preziose indicazioni per l’interpretazione della Commedia. La figura di Cangrande è anche accostata a quella del «veltro», il misterioso personaggio evocato da Virgilio nella profezia di Inferno, I, 101 ss., dove si dice che costui sarà destinato a cacciare la lupa-avarizia dall’Italia e a ristabilire la giustizia (il verso e sua nazion sarà tra feltro e feltro è stato interpretato come allusione proprio al dominio di Cangrande, che si estendeva pressappoco tra Feltre e Montefeltro).
Cangrande è nominato in modo implicito ma riconoscibile da Cacciaguida nel Paradiso, XVII, 70 ss., dove l’avo di Dante profetizza l’esilio al poeta e gli preannuncia che gli Scaligeri gli daranno rifugio e protezione in Verona, soprattutto Cangrande di cui si dice che l’influsso della stella di Marte lo porterà a compiere imprese notabili, a mostrare faville de la sua virtute, a realizzare magnificenze che secondo Cacciaguida risulteranno incredibili anche ai contemporanei. Di Cangrande si dice anche che non si curerà d’argento né d’affanni, il che avvalora l’interpretazione che lo accosta al veltro (di cui Virgilio avea detto che non avrebbe concupito né terra né peltro, cioè non avrebbe ricercato né terre né ricchezze materiali).
Grazie
Buono il commento ed i riferimenti. la nostra società ne ha bisogno di menti eccelse e di grandi uomini da seguire come esempi. La povertà culturale ed etica è davvero terrificante!!!