Il Manifesto della Cultura

Introduzione
Impresa Pulizia Speranza
di Armando Massarenti,
responsabile del supplemento Il Sole 24 Ore – Domenica

Si può fare cultura anche a partire da una didascalia. Il manifesto per una costituente della cultura, lanciato sul Sole 24 Ore – Domenica il 19 febbraio scorso con il titolo “Niente cultura, niente sviluppo” era illustrato da una fotografia accompagnata dalla seguente spiegazione: “La cultura resiste e rinasce tra le macerie. La Holland House Library di Londra distrutta dai bombardamenti aerei nel 1940”.
Dinanzi a uno scenario simile (Milano, 1942-43, il Poldi Pezzoli in pezzi) Alberto Savinio, in “Ascolto il tuo cuore, città”, annotava: “Sopra il portone del numero 30 di via Brera, questa insegna: Impresa Pulizia Speranza. Che aggiungere? È detto tutto”.
Savinio amava scherzare, anche nei momenti più tragici, ma il suo fine era sempre genuinamente edificante. Soffermiamoci dunque sulle tre parole di quell’impresa di pulizie, sapendo che, quanto alla speranza, questa sta già tutta nell’ atteggiamento dei gentiluomini che nella foto all’interno dell’Holland Library di Londra bombardata, cui è crollato il tetto, continuano a consultare e leggere i volumi che sono rimasti sulle scaffalature delle pareti.
Impresa, dunque, innanzi tutto.
La cultura ha bisogno di uno spirito imprenditoriale nuovo – questo si legge tra le righe del manifesto – capace di superare vecchi steccati e vecchie ideologie, non dimenticando peraltro che, considerando l’intero comparto che può andare sotto il nome di “industria culturale”, essa rappresenta già una realtà di grande rilievo, vicina a una quota del Pil assai vicina al 15 per cento del settore manifatturiero. L’innovazione deve riguardare, oltre che i grandi protagonisti dell’impresa italiana, la formula giuridica delle cosiddette imprese creative, schiacciate nelle loro esigenze dalle forme pure delle imprese profit e non profit La nostra immaginazione riformatrice, in tempi di crisi deve riguardare anche il diritto, che è peraltro parte integrante della cultura. Così come la cultura economica. Lo si può dire con una battuta: la cultura economica, la necessità di far quadrare i bilanci, può fare solo un gran bene alla cultura in generale. E viceversa: la cultura può diventare uno strumento utile a far quadrare i bilanci. Ce lo siamo dimenticati per troppo tempo. Ciò non significa tagli a scapito della qualità bensì capacità di coniugare la qualità e l’innovazione artistica con l’assenza di sprechi. Il che vale solo se assumiamo un’idea allargata di economia, che sappia accogliere criteri di misurazione del benessere che vanno al di là del mero economicismo, includendo un’idea di “qualità della vita” il cui ingrediente più importante è proprio la cultura. Eccoci dunque a ragionare nei termini di quel “circolo virtuoso” da riattivare “tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione”, a ragionare in termini di Pulizia – di cui parlava Savinio – che deve essere soprattutto pulizia concettuale e morale.
Perché deve essere parte integrante della cultura economica il consolidarsi generalizzato, a partire dai primi anni di scuola, di una serie di regole e di attitudini capaci di rimettere al primo posto il merito e la vera intelligenza, senza la quale nessuna società oggi può crescere. Quanto alla Speranza, il manifesto si è assunto l’impegno e l’onere di riaccenderla tra tutti coloro che hanno ritenuto di aderire con entusiasmo ai suoi principi di fondo. Soprattutto il richiamo alla necessità, da parte del Governo del paese, di rimettere la cultura al centro dell’agenda politica, perché è solo investendo in cultura che si può sperare nel medio periodo di ricominciare a crescere.
La risposta dei politici non è mancata, ma non è stata incisiva come ci saremmo aspettati. Riproponendo in questo volume alcune delle riflessioni e delle proposte legate al manifesto, rilanciamo il senso di urgenza con cui lo avevamo intitolato allora: “Niente cultura, niente sviluppo”.



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