Camici bianchi vicini a chi soffre. L’impegno di volontariato in Africa del Fratello Paolo Cecchini e della figlia Ilaria

L’anno scorso, dopo la pubblicazione su ‘Erasmo’ di una sua foto in Africa, alcuni Fratelli della Loggia ‘Luce e Progresso’ n.131 di Cecina riconobbero Paolo, nativo di Cecina, e organizzarono una Tornata speciale nel corso della quale raccolsero una cospicua donazione a favore dell’organizzazione per la quale opera il Fratello Cecchini. In quell’occasione, nel Tempio c’erano anche il Gran Maestro Aggiunto, Massimo Bianchi, il Gran Tesoriero, Piero Lojacono, e tanti Fratelli della Loggia ‘Santorre di Santarosa’ n. 1 all’Oriente di Alessandria. Paolo Cecchini fu insignito dell’onorificenza ‘Giordano Bruno’. In alcune foto si vede il grembiule da Venerabile che Paolo ha indossato con grande orgoglio anche in quelle situazioni difficili, per rendere onore alla nostra Istituzione.
Di seguito il ‘pezzo’ scritto da Paolo ed Ilaria, che racconta il loro impegno. Sarebbe inutile aggiungere una sola parola a questa bellissima testimonianza.

In silenzio e con il sorriso. La nostra mano per aiutare chi soffre

Là dove nulla luccica.. ma tira forte il vento. Là dove le parole sono nude e crude come i piedi sulla terra, là dove la Natura ha tolto l’acqua, ha dato il sole, ha creato la Savana, là dove gli occhi dei bambini si spalancano sulla pelle nera di ebano, là dove il mare inganna e con l’oro di Che Chale fa credere al mondo che l’Africa sia ricca e il mare e l’oro e il mondo dimenticano che il vento è cattivo, la terra senza scarpe e brucia. La Savana è pericolosa e gli occhi dei bambini vedono e vivono la fame.
Proprio in quel luogo difficile e contaminato dalla nostra cultura, adatta ad altri climi dove è possibile correre senza vivere ‘pole pole’ (piano piano), i nostri medici operano nelle loro divise mai bianche a causa della sabbia dello Tsavo ingegnandosi ogni anno per portare in una valigia i materiali, gli strumenti, i liquidi per disinfettare, i farmaci e tanta voglia di solidarietà.
Non si possono descrivere gli attimi davanti ai pazienti quando gli occhi di un africano incrociano quelli del medico e non riescono a comunicare se non in Swahili, come non si può descrivere la magia di quanto tutto sia facile nonstante le condizioni pessime ed il caldo spietato….Non c’è luce, non c’è acqua corrente, non c’è la voglia di risollevare le sorti di un popolo che vive in condizioni preistoriche eppure i nostri medici lavorano in silenzio ricevendo sorrisi.
Forse poche cure non servono al vecchio continente africano e qualche dente estratto od una diagnosi corretta, l’incisione di un ascesso od un farmaco prescritto al momento giusto sono solo piccoli passi in un deserto infinito… ma nessuno dimentichi che i nostri medici tornano da queste esperienze carichi di umiltà nel cuore che giova a tutti i loro pazienti, siano essi bianchi , neri o gialli, cancellando l’arroganza di chi tutto conosce tranne il calore umano.
Marafa, Langobaya, Mambrui, Timboni, Gede.. nomi che risuonano nelle bocche dei turisti per i nostri medici sono sinonimo di sacrificio, sete e strade lunghissime che sboccano in minuscoli villaggi dove la popolazione attende il proprio turno all’ombra dei muri dei dispensari.
Quando l’acqua finisce, l’anestetico non basta, la luce scarseggia e i pazienti sono tanti, troppi. Silenziosi e dignitosi nelle loro attese. Proprio in quel momento esplode la voglia di aiutarsi e di trovare quel lume della ragione che permette di risolvere ogni problema al volo. In silenzio e con il sorriso. La nostra mano per aiutare chi soffre.



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