IL SOLE 24 ORE DOMENICA•Per la religione, la scienza, la patria

(Massimo Bucciantini) Quando nel febbraio del 1929 venne ratificato il patto tra Stato e Chiesa, per lui fu uno dei momenti più felici della sua vita. Anche se un improvviso malore gli impedì di recarsi a Roma, la sua gioia era incontenibile, come si può capire dalle tre lettere che immediatamente spedì ai protagonisti di quello storico evento. La prima venne inviata a Pio XI, a cui manifestò tutta la sua riconoscenza per «cose così grandi e meravigliose»; la seconda al re, a cui lo legava un saldo vincolo di amicizia, esprimendogli il suo entusiasmo per il risultato raggiunto; la terza, infine, era per il Presidente del Consiglio Benito Mussolini, al quale indirizzava – per «la meta raggiunta e la somma conquista ottenuta» – parole di infinita gratitudine, come se da lui, quasi un altro dio, fosse stato appena compiuto un miracolo: «Da diversi anni colle pupille fisse all’oriente io attendevo un’aurora; è sorta, e di una luce ineffabile ha irradiato l’Italia e il mondo e benedetta adunque l’E.V. che con mano sicura e forte ha guidato e sospinto il sole fino alla pienezza del giorno». Chi scrive è Pietro Maffi, cardinale di Santa Romana Chiesa. E alla sua infaticabile attività politico-religiosa è dedicato questo libro, che ha tra i suoi pregi anche quello di far assumere all’uomo di fede, allo scienziato e al patriota un ruolo di indiscusso rilievo nella storia del movimento cattolico e dell’Italia del primo Novecento. Un lavoro in gran parte di prima mano, reso possibile dall’apertura, nel novembre del 2007, degli archivi e della biblioteca del cardinale. Maffi moriva a Pisa il 17 marzo 1931. Appena due anni dopo la firma del Concordato, che – a suo dire – avrebbe segnato la fine della vecchia Italia, dominata da «massoneria, liberalismo, scuole atee e corruzione», e realizzato l’obiettivo più ambizioso: quello di ricristianizzare la società italiana. Durante la solenne commemorazione di trigesima, a ricordarlo nel Duomo di Pisa fu chiamato l’amico di sempre, colui che più di ogni altro lo aveva sostenuto e con cui aveva condiviso la grande missione di promuovere, nel rispetto della gerarchia, la penetrazione del messaggio cattolico nel mondo moderno. Ovvero Agostino Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica, uomo di scienza e milite cristiano come Maffi, e come lui protagonista di una strategia che aveva il compito di superare l’arretratezza della cultura cattolica italiana e in particolare il suo allarmante deficit scientifico. «Una chiesa per i tempi moderni» s’intitola il primo capitolo. E la città dove la storia ha inizio, negli ultimi anni dell’Ottocento, è Pavia, dove Maffi e Gemelli s’incontrano e stabiliscono subito un rapporto di collaborazione. Il primo, professore di matematica e astronomia nel seminario vescovile e direttore della «Rivista di fisica, matematica, e scienze naturali»; il secondo, studente di medicina e allievo di Camillo Golgi, e per di più ateo e socialista, ma che maturò la sua vocazione religiosa proprio a partire dalle amicizie e dalle conversazioni che si svolsero in seminario. E il sodalizio non venne mai meno, anche quando Maffi fu nominato arcivescovo della città toscana. Lo testimoniano le frequenti visite che Gemelli era solito fargli, nelle quali aveva modo di incontrare anche Giuseppe Toniolo, docente di economia politica nell’ateneo pisano, «e ognuno può immaginare – ricorderà molti anni dopo – come le conversazioni tra il Cardinale, Giuseppe Toniolo e lo scrivente per trattare dell’Università cattolica venivano chiarendo a mano a mano le idee su quello che era necessario fare». Il tandem Maffi-Gemelli, scrive a un certo punto Cavagnini. E forse non c’è immagine più appropriata di questa per sottolineare la ragione di fondo che li univa, «sfociata nella fondazione dell’Università cattolica, a modello della sana scienza, e volta alla restaurazione cristiana della società». Per ambedue era arrivato il momento dí sostituire alla «bestemmia di Lucrezio», alla scienza materialistica, figlia degli infausti principi dell’89, una scienza appunto “sana”, guidata dalla luce della fede, l’unica capace di tracciare il confine tra verità ed errore. E da questa prospettiva non ci vuole molto a capire che la riconquista di Galileo – ossia di uno dei simboli da sempre considerati patrimonio della cultura laica – avrebbe assunto un’importanza decisiva (…) Leggi l’articolo su Il Sole 24 Ore Domenica del 22 novembre 2015



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