Venerdì 4 dicembre alla presenza del Gran Maestro Stefano Bisi e della Giunta del Grande Oriente d’Italia, il nipote di Giuseppe Leti ha donato al Grande Oriente la targa bronzea proveniente dal cimitero parigino di Père Lachaise che sigillava il loculo dove erano conservate le ceneri di Giuseppe Leti, alto dignitario massonico, morto esule in Francia e che ebbe il grande merito, pur nelle estreme difficoltà e ristrettezze, di ricostituire nell’esilio, il Grande Oriente d’Italia, dando così una continuità non soltanto ideale e simbolica alla Massoneria di Palazzo Giustiniani.
Sulla targa, rimossa negli anni ’60 del Novecento quando l’urna con le ceneri di Leti venne traslata nella tomba di famiglia al Verano, è presente la seguente iscrizione: “Giuseppe Leti amò tutta la verità; tutta la giustizia, tutta la libertà”, dettata dallo stesso Leti, e che avrebbe dovuto proseguire con quest’ultima frase: “Perciò lasciò l’Italia nativa, e volle morire esule”. Durante la cerimonia di consegna della targa, il Gran Maestro nel ringraziare il nipote di Giuseppe Leti, che porta il nome del nonno, gli ha fatto dono di una copia del testamento massonico da questi redatto al momento dell’iniziazione e conservato negli archivi del Goi, con l’auspicio che presto la targa possa essere esposta nel futuro museo massonico di Palazzo Giustiniani, a testimonianza del contributo che la massoneria ha dato in anni difficili per il ritorno della libertà e della democrazia in Italia. In questa occasione sono stati donati al Grande Oriente d’Italia degli importanti documenti manoscritti di Giuseppe Leti che attestano l’attività compiuta sia nell’Ordine che nel Rito Scozzese Antico e Accettato.
Giuseppe Leti nacque a Fermo il 17 agosto 1867 da Francesco e da Zenaide Palmieri. Di famiglia modesta dopo aver ultimato con molti sacrifici gli studi liceali nella città natale, si trasferì a Roma dove, mantenendosi da solo agli studi, riuscì nel 1888 a laurearsi in legge e in scienze economico amministrative. Intrapresa la professione forense non tardò ad affermarsi nel foro romano. Nel 1897 si sposò con Blandina Fava. Accanto alla libera professione Leti coltivò sempre due grandi passioni: la politica, militando nel partito repubblicano e la ricerca storica. Fu a tal proposito autore di numerose opere, tra cui Roma o morte (Roma, 1895), Roma nel 1867 (Roma, s.d.), Roma e lo Stato Pontificio dal 1849 al 1870. Note di storia politica (Ascoli Piceno, 1911) (tutte finalizzate a ricostruire il continuo impegno dei democratici nei confronti della politica papale). Tra le cariche ricoperte ricordiamo quella di Presidente della Società “Latina Gens”, Deputato di storia patria per le Marche, membro del Comitato Romano per la Storia del Risorgimento, Consigliere dell’Amministrazione del Monte di Pietà e poi della Congregazione di Carità.
Iniziato alla Massoneria nella Loggia Rienzi di Roma il 18 maggio 1897, Leti aderì al Rito Scozzese Antico e Accettato, ricoprendo via via tutte le cariche importanti di quel Rito, sino a quelle di Gran Segretario Cancelliere e Luogotenente Sovrano Gran Commendatore. Strenuo oppositore del fascismo, in quello stesso 1925 che avrebbe visto promulgare dal governo Mussolini la legge liberticida sulle associazioni, Leti pubblicò, in aspra polemica con il filofascista Luzio, Carboneria e Massoneria nel Risorgimento italiano. Saggio di critica storica, volume nel quale rivendicava il ruolo decisivo svolto dalla Massoneria per il conseguimento dell’Unità italiana. Dopo aver difeso dalle squadracce fasciste Palazzo Giustiniani, sede nazionale del Grande Oriente d’Italia, Leti decise nel 1926, come molti confratelli, di andare in esilio, stabilendosi prima in Polonia e poi in Francia, dove svolse un ruolo di primo piano nella organizzazione di quella “concentrazione antifascista” nata a Parigi nell’aprile del 1927, e destinata a svolgere un ruolo importante nell’opposizione al fascismo. Nel 1929, poco prima della sua morte, Ettore Ferrari designò con una lettera del 30 maggio, Giuseppe Leti quale suo successore nel ruolo di Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico e Accettato, e gli trasmise tutti i suoi poteri, sottolineando che così Leti avrebbe potuto ricostituire il Grande Oriente d’Italia. Il giorno successivo Ferrari informò della sua decisione con una lettera circolare i fratelli italiani. Già nel novembre del 1929, Leti, che nel frattempo si era iscritto alla Loggia Italia (450) all’Obbedienza della Grande Loge de France, insieme con Eugenio Chiesa, Cipriano Facchinetti, e ad altri fratelli italiani costituiva a Parigi la Loggia Giovanni Amendola, primo nucleo del ricostituendo Grande Oriente d’Italia. Il successivo 12 gennaio 1930 in un locale del Boulevard St. Denis si teneva, presieduta dal Sovrano Gran Commendatore Giuseppe Leti, l’assemblea costitutiva del Grande Oriente d’Italia in esilio, realizzando così l’auspicio dell’ex Gran Maestro Ettore Ferrari.
Giuseppe Leti morì a Parigi il 1° giugno 1939 e dopo la cremazione i suoi resti furono inumati nella capitale francese con espresso divieto di riportarli in Italia fino a quando lo Stato italiano fosse stato governato dalla dittatura fascista. Negli ultimi anni il Grande Oriente d’Italia in esilio è stato ampiamente studiato con i due volumi dello storico Santi Fedele, Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia: “La Massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità, 1927-1939” (Milano, Franco Angeli, 2005) e “Alessandro Tedeschi, Gran Maestro dell’esilio” (Bologna, Il Mulino, 2008). Dodici anni fa, con l’intento di tramandare e conservare i valori etici e civili dell’opera di Giuseppe Leti, alcuni fratelli hanno costituito a Roma una loggia che porta il suo nome con il numero distintivo 1206. (Servizio Biblioteca)