Gran Loggia 2002 “Le Vie del Dialogo”

Gran Loggia 2002
“Le Vie del Dialogo”
Allocuzione del Gran Maestro Gustavo Raffi

Gentili Autorità intervenute, Gentili Signore e Signori, Carissimi Fratelli,

anche in questa Gran Loggia il Grande Oriente d’Italia si propone di contribuire al bene dell’umanità con incontri culturali, proposte e riflessioni sul tema del dialogo tra gli uomini, sul confronto tra le idee e le diverse culture. Lo scorso anno abbiamo dedicato la nostra attenzione alla Centralità dell’Uomo perché crediamo che sia l’uomo il fine di ogni nostra azione: l’uomo con i suoi valori, i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue utopie e il suo benessere culturale, spirituale e materiale.
Solo, infatti, se poniamo l’uomo al centro del nostro pensiero e della nostra azione possiamo operare per il suo benessere, evitando di mettere in primo piano solo i nostri interessi o quelli di parte, sforzandoci di superare le difficoltà e di trovare le soluzioni più adeguate ai problemi che travagliano l’umanità, mirando sempre al bene di tutti nel quale deve trovare espressione il bene dei singoli.
In effetti, l’interesse particolare, di qualunque natura sia, non va anteposto a quello generale, ma deve coniugarsi ed essere compatibile con quello della collettività: se l’una o l’altra delle condizioni viene meno allora viene meno, anche il senso del vivere comunitario e si apre la via agli egoismi, all’arbitrio e alla tirannide.
Il nostro pensiero innesta le sue radici su una visione antropologica che ci deriva dalla nostra tradizione iniziatica, secondo la quale l’uomo è un essere finito che tuttavia rivolge il suo sguardo al cielo, all’infinito, a ciò che supera le condizioni terrene e contingenti. Per nostra natura, abbiamo fiducia nell’uomo e nelle sue possibilità e, al contempo, siamo aperti al nuovo e disposti a fornire il nostro contributo per l’edificazione di una società aperta in cui il pluralismo non sia una statica separazione di diverse comunità ideologiche o religiose, ma convivenza e dialogo di più posizioni: uno spazio condiviso, in cui gli uomini possano vivere in armonia e collaborare insieme al miglioramento della condizione umana.
La nostra tradizione ci sollecita, altresì, a riflettere sulla natura dell’uomo e sui suoi caratteri antropologici e psicologici che spesso lo portano a generare conflitti con se stesso e con i suoi simili. La natura dell’uomo è così, anche in questo caso, duplice: egli è spinto al bene e alla virtù, ma è anche schiavo delle passioni, del vizio, dei propri interessi materiali e di parte e ciò è l’origine dei dissidi e dei conflitti tra gli uomini. Dunque, la nostra riflessione ci conduce ad una visione profonda e attenta, che non prescinde da questi caratteri intrinsecamente umani: siamo per tradizione sollecitati a seguire la via del conosci te stesso, che, in questo caso, non significa solo rivolgersi al proprio mondo interiore ma anche fare luce sulla natura finita, limitata, contraddittoria e per certi versi corrotta dell’uomo, ma anche e pur sempre perfettibile.
Conoscere l’uomo vuol dire apprezzare e rafforzare i suoi lati luminosi e, al contempo, incidere in modo profondo per limitare il suo lato oscuro, per far sì che esso non prenda il sopravvento e lo conduca alla sua distruzione. La lotta è sempre tra il bene e il male e noi siamo fiduciosi che il bene possa e debba prevalere per far sì che l’uomo, con la sua anima divina, possa manifestare il suo lato di luce e abbandonare quello delle tenebre.
Sebbene crediamo che la via sia sempre quella rivolta al bene, sappiamo anche che il lato aggressivo dell’uomo crea sempre difficoltà ed ostacoli; la via del bene, della ragionevolezza, dell’incontro e della comprensione dell’altro è stretta, mentre quella dell’intolleranza, del dissidio e della prevaricazione è larga e piena di attrazioni.
Solo se saremo coscienti di questo, solo se conosceremo l’uomo, solo se non dimenticheremo la duplicità della sua natura, potremo operare in modo consapevole ed equilibrato; solo così potremo fornire il nostro contributo disinteressato per far sì che tra gli uomini possa regnare non certo l’armonia assoluta – perché questa forse è propria di un altro mondo – ma almeno quel tanto di armonia che possa permettere di superare i conflitti, di limitare gli interessi di parte a scapito di quelli di altri, di evitare le ingiustizie profonde, sociali, culturali e materiali che non permettono di vivere in modo dignitoso e che, rendono l’uomo schiavo di se stesso o dell’arroganza di altri che vivono animati solo dall’ottica ristretta del loro egoismo.
Il bene e l’armonia tra gli uomini non sono certamente un frutto spontaneo che cade dell’albero della vita, ma richiedono uno sforzo ed una applicazione etica, spirituale e culturale continua, un’educazione al rispetto reciproco, al riconoscimento della necessità della comunicazione, del dialogo e del confronto: un’educazione, cioè, alla libertà come spazio dell’incontro con i propri simili che diparte – come è proprio della via iniziatica e massonica – dal mondo interiore e da qui si amplia all’alterità e all’intero genere umano. Come si potrebbe, infatti, operare per il bene, l’armonia, la giustizia se esse non fossero già radicate nel nostro “io” e non fossero una guida al nostro modo di pensare e di agire?

Se abbiamo fiducia nel lato luminoso dell’uomo e vogliamo limitare il suo lato oscuro, allora ognuno di noi deve adoperarsi per diffondere e rafforzare quei valori che sono alla base della convivenza civile e della espressione delle potenzialità di ogni uomo: quei valori etici di libertà, fratellanza ed eguaglianza, che la Libera Muratoria ha da sempre propugnato, e trasfuso nella società, vanno così posti al centro della convivenza sociale e delle relazioni tra gli uomini.
Benché questo atteggiamento sia fondamentale, non è tuttavia sufficiente: occorre andare oltre, storicizzare ed applicare questi valori e principi alle specifiche condizioni di un consorzio umano connotato dalle diversità, da differenti punti di vista, opinioni e visioni del mondo, tradizioni culturali e credi religiosi, avendo maturato chiaramente l’idea che le architetture della convivenza sono incardinate nel principio della reciprocità.
Ci troviamo, allora, nella necessità di percorrere due vie.
La prima quella pedagogico-educativa – alla quale ci siamo riferiti altre volte – appare fondamentale non solo per le giovani generazioni, che costituiscono il futuro dell’uomo, ma per ogni essere umano che con l’esporsi a un processo educativo è sollecitato a porre in primo piano i valori e la via stretta del bene.
Ma cosa intendiamo, per via pedagogico-educativa? Non può essere concepita come un indottrinamento, cioè imposizione delle proprie concezioni mirando all’affermazione di un pensiero unico; né può limitarsi a mera erudizione e apprendimento passivo di nozioni: essa non è quindi solo e mera conoscenza. Alludiamo invece a quel percorso che, con strumenti diversi, permette a ogni uomo di essere un soggetto libero e pensante in proprio, consapevole che la sua vita, sulla base di un patto comunitario, si svolge in un consorzio civile e sociale, e con un confronto continuo con altri e con le loro idee ed opinioni. Questo confronto è la fonte della maturazione sociale e civile di ogni uomo. Tutto ciò significa superare la propria condizione, per così dire naturale, e predisporsi all’ascolto e al confronto pacifico con l’altro. Educarsi al confronto e porsi in discussione non vuol dire solo comprendere le ragioni dell’altro, bensì arricchire se stessi di un patrimonio che si forma grazie a quell’incontro.
Una via, quindi, quella pedagogico-educativa, che stimola la crescita personale nel rispetto delle diversità e mette a disposizione del giudizio individuale quei valori che sono il fondamento dell’espressione della propria individualità e del vivere comunitario. La seconda via è quella del dialogo.
Senza il dialogo ci si allontana, si resta ancorati al proprio orizzonte, si rimane arroccati nella fortezza dei propri e limitati interessi, si resta al di là delle barricate e il proprio simile appare lontano e non di rado diventa un nemico. Senza il dialogo non ci si incontra e il nostro punto di vista appare l’unico orizzonte delle nostre azioni.
Nella condizione attuale dell’umanità, riteniamo che il dialogo tra i sostenitori di posizioni opposte sia l’unica via per far incontrare gli uomini, per farli conoscere, mettere sul tavolo le proprie visioni e i propri interessi, per far loro maturare e negoziare possibili soluzioni.
La conoscenza reciproca, il reciproco rispetto e l’incontro non sono però il punto di arrivo, ma il punto di partenza per superare i conflitti, per salvaguardare i diversi interessi ed opinioni e per trovare una via comune che possa permettere a tutti di esprimersi. Tuttavia, la via del dialogo è percorribile solo se non si resta ancorati alle proprie certezze ritenendo che esse siano il solo punto di vista accettabile ed ancora più pensando che gli altri debbano adeguarsi ad esse, volenti o nolenti, se del caso con l’impiego della forza.
La via del dialogo, quindi, presuppone il dubbio, che non significa rinuncia ai propri valori e verità, né tanto meno un banale ed inutile relativismo, bensì la considerazione delle ragioni altrui con la consapevolezza di non considerarsi depositari del vero e con l’atteggiamento aperto di essere sempre alla ricerca di ciò che unisce e non di ciò che divide.
Si abbandona, così, l’idea di essere vittoriosi ad ogni costo imponendo con qualsiasi forma di coercizione il proprio punto di vista. Il dialogo, quindi, non si persegue con le ragioni della forza, ma con la forza della ragione.
L’uomo che si apre al dialogo, secondo Guido Calogero, che diresse la rivista del Grande Oriente “La Cultura” – è quell’uomo che “contrappone la forza del discorso alla forza della violenza, il potere della mente al potere fisico” e solo così ogni soggetto “può farsi il costruttore di libere città, del regno dell’uomo”.

Nel libero confronto di opinioni differenti, si cercano e creano i percorsi della convenienza, in luogo della incomunicabilità e della separatezza, e si contribuisce alla costituzione di una comunità pluralista in cui eguaglianze e differenze possono non solo coesistere, ma intrecciarsi produttivamente. La situazione attuale dell’umanità è a dir poco preoccupante e sembra che, in un continuo crescendo, l’odio, la discriminazione, i conflitti, i fanatismi e l’intolleranza prendano il sopravvento senza permetterci di intravedere uno spiraglio per tenderci la mano e proseguire il nostro cammino, anche se ognuno per la sua strada, ma senza ostacolare quella altrui.
A ciò si aggiungono quelle ideologie sociali, culturali, politiche o religiose che si pongono in modo egemonico e che, pur in modi diversi, spingono l’uomo verso l’egoismo e a fargli credere che il suo interesse non solo sia primario bensì sia al di sopra di quello dei propri simili; che il suo credo sia l’unico che conduce alla verità e alla salvezza.
Profonde ingiustizie portano, inoltre, a sostenere separazioni nette tra categorie di uomini, come se ci fossero, per natura, differenze che costringono gli esseri umani nella loro condizione: gli uomini del Nord del Pianeta e quelli del Sud, coloro che possiedono un lavoro e coloro che lo hanno perso od aspirano ad averlo, coloro che consumano le risorse del pianeta e coloro che non possono avere neppure il minimo sostentamento per sopravvivere, coloro che hanno tutto e coloro che non hanno nulla, coloro che con la forza impongono i loro interessi e coloro che nella loro condizione di debolezza non possono fare altro che subire.
Le ingiustizie sono spesso la condizione miserrima in cui si trovano milioni di uomini, ma sono anche il crogiolo in cui si alimentano gli odi, non di rado sollecitati da fondamentalismi e fanatismi che, con la promessa di un riscatto in un mondo ultraterreno, appaiono ai diseredati una sorta di riscossa dalla loro misera condizione. Occorre, quindi, comprendere e rimuovere le cause della disperazione, per promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi del terzo mondo: fare ciò significa educare ed educarsi al ripudio delle guerre e del terrorismo, ricercare sempre la soluzione dei problemi attraverso i negoziati, nella convinzione profonda che nessun conflitto armato può essere risolutivo al riguardo.
Purtroppo gli uomini, nell’era della comunicazione e di internet, non solo non si conoscono e non parlano tra loro, ma spesso rifiutano anche questa elementare esigenza della convivenza umana. Ciò vale, in particolare, per gli uomini di governo che, al contrario, devono sforzarsi di superare i condizionamenti dei soli interessi di cui sono portatori e devono temperare, o meglio ancora, mettere al bando ogni atteggiamento di natura egemonica, riconoscendo all’avversario “il diritto ad essere ascoltato e valutato in buona fede”. Questa per il Presidente della Repubblica Ciampi è la prima regola della pedagogia civile, unitamente a quella di “non chiudere mai la porta del dialogo”.
Non crediamo che il dialogo sia il solo strumento atto a risolvere i conflitti all’interno dell’umanità, ma è certo che ogni volta che gli uomini di stato si incontrano e si conoscono, parlano delle esigenze e delle aspirazioni dei loro popoli, qualcosa può cambiare davvero e insieme possono trovare soluzioni adeguate che non ledano gli interessi né dell’uno né dell’altro, al fine di assicurare una coesistenza pacifica tra i popoli e per ripristinarla là dove siano esplosi conflitti che hanno lasciato campo solo alle armi. Il dialogo, se si vuole, è una filosofia che ci permette di considerare l’altro non come un nemico, ma solo e semplicemente un uomo come noi con il quale intendiamo percorrere una medesima strada, quella della conoscenza reciproca e quindi della pacifica convivenza. Il dialogo è innanzitutto il riconoscimento dell’altro, il riconoscimento del suo diritto di esistere e di manifestare le proprie aspirazioni. Porsi dalla parte della filosofia del dialogo, è già un primo passo che dimostra la volontà di incontrarsi, ma la filosofia di per sé non è sufficiente: ne deve derivare una azione conseguente che porti all’incontro tra gli uomini. Non si deve quindi solo pensare al dialogo ma esserne promotori, ognuno nella propria condizione e secondo le proprie possibilità.
La libera Muratoria, da quando è sorta, ha sempre operato in modo da sollecitare gli uomini al dialogo, al rispetto reciproco e quindi all’incontro. La Massoneria non esprime, invero, una particolare filosofia o ideologia, ma un metodo di convivenza tra tutte le filosofie e le ideologie possibili, affermando il principio laico che consiste nella regola: “non pretendere di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere di possederla”

Sarebbe fin troppo facile, in chiusura di questo mio discorso, sottolineare l’inciviltà etica e culturale di coloro che, nel nome di ideologie retrive e intolleranti, hanno dichiarato di voler impedire questa manifestazione. Se una Massoneria trasparente, capace di essere crocevia vivente di un dialogo interculturale e aperto, capace di divenire ambito di promozione interiore dello spirito e del libero confronto: se proprio tale Massoneria – e non già quella silente ed eccessivamente riservata di pochi anni addietro – suscita gli attacchi virulenti del non-pensiero, della violenza e della negazione dell’alterità, allora significa che questa nuova Massoneria ha colto nel segno e marcia su di una via che reca fastidio a chi vorrebbe una società illiberale, soggetta ad un pensiero e ad una verità unici, xenofoba e ostile al confronto e all’integrazione delle diversità.
La condanna di questi atteggiamenti intolleranti fa parte del bagaglio culturale della Muratoria universale, che non a caso ha visto i suoi uomini migliori combattere gli assolutismi e le tirannidi, lavorare alla costruzione di organismi di pace e di soccorso come la Croce Rossa, la Società delle Nazioni, Amnesty International e altri ancora. Perché la Massoneria applica e deve applicare tutto il patrimonio etico che ha tesaurizzato nel corso dei secoli per lenire, insieme a tutte le forze che si battono per il bene ed il progresso, le sofferenze dell’umanità. Il nostro dialogo non è astratto, ma si rivolge all’umanità, ai suoi dubbi, ma anche alle sue tragedie.
Il dialogo ovviamente richiede vie e soprattutto idee coraggiose e non l’artifizio e la dissimulazione continua che, con belle parole, tramutano anche il dolore più profondo in un business illimitato. Per dialogare sono però necessari contenuti forti, ambiziosi, capaci di spezzare le catene della pigrizia e dell’egoismo, che riportino la dignità piena dell’uomo al centro del confronto, come soggetto e obiettivo prioritario della società, e non come strumento di altre finalità.
La Massoneria è ben conscia di non poter fermare il dolore e la morte, che costituiscono, nel loro triste mistero, una realtà ineliminabile dell’esperienza umana. D’altra parte, essa da secoli si propone come luogo di confronto e di fratellanza al di sopra delle differenze di religione, di razza, di cultura, di estrazione sociale, agendo in modo particolare affinché il dolore e la sofferenza umana siano, se non eliminate completamente – speranza forse troppo ambiziosa – almeno ridimensionate entro i casi dell’imponderabile e non della cinica normalità.
Purtroppo, un’ombra di odio irrazionale si sta aggirando per questo piccolo mondo; fantasmi antichi sembrano essere stati riesumati; drammaticamente, anche le religioni tornano ad essere invocate per giustificare eccidi e per fondare il diritto di distruggere l’avversario, facendo violenza al nome ed al senso stesso del divino in un continuo di bieche strumentalizzazioni di valori che con la violenza non hanno nulla a che spartire. La Massoneria che invece si pone, con umiltà, sotto la guida luminosa del Grande Architetto dell’Universo, Ente Supremo che giammai invocherebbe contro chicchessia, ribadisce che la Luce della ragione e della tolleranza, il principio del dialogo coraggioso, non possono essere affatto disgiunti da alcuna fede e che nessuna fede ha più senso senza la fede nell’umanità e nel suo miglioramento. Per questo, la Libera Muratoria pone, proprio insieme al G.A.D.U., l’umanità dolente al centro dei suoi pensieri e dei suoi progetti e per la stessa ragione essa si pone come strumento spirituale di incontro e di dialogo libero e coraggioso.
Il nostro sforzo per la conquista della felicità, per il diritto alla felicità, intesa non come esaltazione dell’egoismo, sia esso dei singoli o delle nazioni, ma come estrinsecazione della serenità etica e morale dell’umanità, come pace giusta e perpetua, e non come momento transitorio tra una guerra e l’altra, è il fine a cui la Massoneria lavora. Il dialogo è il nostro pane consustanziale e viatico, è il cibo di cui i nostri fratelli si nutrono lavorando assieme nel rispetto della diversità. Vengano pure ai nostri Templi a gridare che la pace, il dialogo ed il rispetto vanno vietati! Cerchino pure di alzare nuovi roghi alla fratellanza universale, al senso profondo del divino che tutti sa accomunare sotto la luce della ragione e delle fedi diverse. Dicano pure che il cielo è con loro alzando grida di odio.
La nostra fede è incrollabile; una fede nei valori più alti dell’essere umano e di chi ne ha generato la vita; una fede nelle ragioni del confronto e della pace, nella speranza, che un giorno, magari non troppo lontano, anche coloro che oggi vorrebbero toglierci la parola, possano comprendere la superiorità del rispetto e del dialogo.
Perché il nostro desiderio è portare la luce e cacciare le tenebre, e non ravvivare antichi odii o alimentare tenebrose presenze. Perché la ricerca del bene è il nostro fine, mentre il male è irrazionale, stupido e oscuro.
E noi lavoriamo per trovare sempre più luce.


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