Adriano Lemmi, 17-01-1885/31-05-1896
Nato a Livorno il 30 aprile 1822, Adriano Lemmi si dedicò fin da giovanissimo alle attività commerciali e finanziarie avvicinandosi agli ideali democratici. All’età di poco più di vent’anni andò in esilio volontario, dapprima a Marsiglia, poi a Malta, in Egitto e infine a Costantinopoli. Nel 1847 conobbe a Londra Giuseppe Mazzini, a cui rimase sempre strettamente legato: due anni dopo lo raggiunse a Roma per contribuire alla difesa della Repubblica Romana. Ebbe l’incarico di imbarcare da Livorno la legione Manara. Nel 1851, sempre per incarico di Mazzini, prese contatto con Lajos Kossuth, relegato nella fortezza di Kütahja, e lo aiutò a evadere. Tornato a occuparsi con successo delle proprie attività economiche, nel 1857 finanziò la spedizione di Pisacane e contribuì poi allo sviluppo del movimento patriottico di ispirazione democratica, guadagnandosi l’appellativo di «banchiere del risorgimento». Nel 1860 rientrò definitivamente in Italia e fu attivo nell’organizzazione della spedizione dei Mille. Nei mesi successivi ottenne dal governo sardo e da Garibaldi l’incarico di costruire linee ferroviarie in Toscana e nel Mezzogiorno. In quel periodo strinse ulteriormente i rapporti con il movimento democratico, divenendo una figura di collegamento fra l’ala repubblicana intransigente e la componente di più diretta matrice garibaldina. Nel 1867 aiutò Garibaldi nella preparazione della spedizione di Mentana. Nel 1879 finanziò la nascita del giornale «La Lega della Democrazia» e quattro anni dopo fu tra i promotori del Fascio della democrazia, che si riprometteva di riunire radicali e repubblicani. Adriano Lemmi è ricordato anche per le sue azioni caritatevoli, come quella a favore di Giuseppe Petroni, futuro Gran Maestro, che, prigioniero del Papa dal 1853 a Castel Sant’Angelo fu liberato dalle truppe italiane all’indomani di Porta Pia e, ritovandosi senza risorse, ricevette da Lemmi un vitalizio personale di centocinquanta lire mensili. Nel frattempo Adriano Lemmi aveva aderito alla Massoneria. Non si sa quando ma è certo che entrò subito a far parte, sin dalla costituzione, della Loggia Propaganda Massonica, il sodalizio massonico creato dal Gran Maestro Giuseppe Mazzoni nel 1877, su proposta di Ulisse Bacci e Luigi Castellazzo, destinato “a raccogliere massoni senza fisso domicilio” e di rilievo nel mondo politico, economico e culturale. Nel 1879 Lemmi fu eletto Gran Tesoriere del Grande Oriente d’Italia e nel 1882 Gran Maestro Aggiunto. Si adoperò per la fusione di un Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico Accetto con sede a Roma e Torino realizzando il proposito dei Gran Maestri De Luca, Mazzoni e Petroni: “Libertà di Riti, unità di Governo”. Fu eletto Gran Maestro della Massoneria italiana dall’assemblea riunita il 16 gennaio 1885 rimanendo in carica sino al 31 maggio 1896. Delegato di Tamajo e Riboli, rispettivamente alla guida dei corpi scozzesi romano e torinese, giunti all’unificazione, Lemmi cumulò dal 1887 la carica di Gran Maestro con quella di Sovrano Gran Commendatore, ruolo che mantenne fino alla morte avvenuta a Firenze il 23 maggio 1906. Il legame instaurato con Francesco Crispi, gli attirò, alla fine degli anni ’90, l’accusa di aver trasformato la Massoneria in un’organizzazione subalterna al governo. Il coinvolgimento nello scandalo della Banca romana segnò il suo allontanamento dalla scena pubblica nonostante il Supremo Consiglio dichiarasse “false e calunniose” le accuse lanciate contro di lui e deliberasse di “non dovere il medesimo (Lemmi) sporgere querele davanti ai tribunali profani”. Ma ormai era nata una fronda interna al Grande Oriente d’Italia e il 7 dicembre 1895 presentò le proprie dimissioni irrevocabili da Gran Maestro.
Curiosità. Poco più di due mesi prima – e cioè il 20 settembre 1895 – nel tempio massonico di Palazzo Borghese (all’epoca sede nazionale del Grande Oriente d’Italia) la Massoneria italiana consegnò ad Adriano Lemmi, per mano di Achille Ballori, un “collare” opera pregevolissima del massone Nicola Farnesi (1836-1904), maestro venerabile della Loggia Francesco Burlamacchi di Lucca. Alla morte del Gran Maestro, il collare rimase presso il figlio Emilio che lo consegnò poi al Gran Maestro Ettore Ferrari il 2 settembre 1915 e da questi al Gran Maestro Domizio Torrigiani. Siamo nella prima epoca fascista: il massone Giulio Bacchetti riuscì a mettere in salvo dalle depredazioni squadriste il collare che alla fine della dittatura, con la rinascita della Massoneria e la ripresa delle attività del Grande Oriente, consegnò al Gran Maestro Gudo Laj al momento della sua investitura. Da allora il collare, indossato per tradizione in occasioni di particolare solennità, rappresenta l’emblema e il segno di distinzione dei Gran Maestri che si succedono nel tempo.