LIVORNO. A QUASI 160 ANNI DALLA FONDAZIONE
«Non è un libro di storia. È scritto da una persona di parte, convinta che la coerenza sia una grande virtù». E poi: «Ho solo ripercorso le vicende del più vecchio sodalizio laico della nostra città». Massimo Bianchi, classe 1944, lo mette in chiaro fin dal primo rigo: del resto, è stato leader socialista per una vita, dalla parte anche del Craxi di Hammamet, tanto al governo (fino a diventare tre volte vicesindaco) quanto all’opposizione (in feroce polemica contro il monocolore Pci). Ma anche – ed è questo il caso che più interessa stavolta – esponente di primissimo piano della massoneria come numero due nazionale del Grande Oriente (e poi gran maestro onorario dal 2014 in Italia e dal 2016 in Albania): lo è stato con la scelta fuori dal comune di dichiararlo pubblicamente.
Con il libro dedicato alla Fratellanza Artigiana «tempio della democrazia livornese» – della quale fra pochi giorni ricorre l’anniversario della fondazione nel 1861 – mette sotto i riflettori del proprio lavoro sulle tracce della memoria l’esigenza di fissare nero su bianco percorsi, nomi, luoghi, intenzioni, errori, ripensamenti dell’ universo laico per il quale Bianchi ha speso l’esistenza: in una città che è stata spesso una duplice “chiesa”, quella dei campanili e quella del Pci, ecco l’appartenenza alle logge e la militanza socialista. «La storia non inizia da domani»: questo motto vale come una sorta di pre-titolo. In linea con le ultime parole del libro: «Non la memoria del tempo che fu ma la memoria per il tempo che verrà. Ecco che quest’ultimo libro – prefazione dell’attuale leader del Goi, Stefano Bisi – di
Massimo Bianchi all’interno di un tempio massonico
mette in fila con quelli precedenti dedicati ora all’uno ora all’altro versante dell’impegno di Bianchi. Anche stavolta torna non solo a fare nomi e cognomi ma anche a metterne in fila più di 200 in coda al libro, oltre a elencare tanto i soci fondatori che tutti i presidenti nell’arco di un secolo e mezzo. Così com’è accaduto nei libri precedenti, Bianchi si è in ventato una sorta di contrappunto che percorre tutto il testo: le chiama “curiosità” e servono per mettere una sfilza di note a margine, che si mostrano efficaci. Magari semplicemente per ricordare che: 1) «a Livorno è conservata una delle più importanti collezioni di cimeli garibaldini, proprietà della famiglia Sgarallino»; 2) Garibaldi invita Sgarallino a fondare anche a Livorno una Società per il Tiro al Bersaglio per creare una milizia popolare; 3) è proprio la Fratellanza a ospitare la riunione che fa nascere la sezione comunista livornese; 4) nell’ottobre 1921 a Antignano il duello fra Mussolini e Ciccotti Scozzese; 6) due anni più tardi il consiglio comunale nomina Mussolini cittadino onorario di Livorno. Dopo aver ricordato l’utilizzo strumentale dell’accusa di essere massone come modalità per faide interne (e nel ’25 il ritrovamento nei Fossi di documenti massonici, compresi schedario e qualche cappuccio), è in una di queste “curiosità” che Bianchi ricorda come l’aula del consiglio comunale di Livorno sia sovrastata da una serie di busti illustri, e «l’appartenenza massonica è largamente maggioritaria». Quanto alla scelta di darsi una dimensione aperta all’esterno, l’autore ricorda la svolta nel 2001: nella manifestazione dopo l’attentato alle Torri gemelle sfilarono pubblicamente i labari massonici listati a lutto.