Trentacinque anni fa l’orrore di Lando Conti: la lezione dell’indimenticabile ‘sindachino’/ La Nazione

Le Br uccisero la persona su cui Giovanni Spadolini puntava per un autentico rinnovamento della politica. Un uomo dall’onestà cristallina

di COSIMO CECCUTI

Firenze, 10 febbario 2021 – Non è possibile dimenticare, trentacinque anni dopo, lo smarrimento che prese tutti noi, alla notizia del barbaro assassinio di Lando Conti, ucciso mentre da solo come di consueto si recava in consiglio comunale. Non potevamo mai immaginare che quel rigurgito di terrorismo ormai sconfitto potesse fare di lui un obiettivo: non un politico di professione, ma un semplice esponente della società civile votato alla politica per pura passione.
Nessuna ambizione personale, nessuna partecipazione a fabbriche di armi, secondo subdole e pretestuose motivazioni. Ispirato ai sentimenti più nobili della massoneria, nella quale credeva con la fede più radicata per il bene dell’umanità, rigorosamente ligio al sentimento del dovere che aveva appreso in famiglia fin dall’infanzia, Lando aveva raccolto l’eredità di un galantuomo e di un antifascista come Menotti Riccioli, la figura così popolare legata all’esperienza delle prime giunte della Liberazione, ricevendo dalla madre Lisa la più schietta educazione mazziniana.
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Valori che aveva messo poi in pratica al pari dei suoi ideali repubblicani. In Palazzo Vecchio, consigliere comunale o sindaco, si comportava sempre con identica fedeltà ai suoi principi: pragmatico, mirava alla soluzione concreta dei problemi, e lo faceva con naturalezza, restando sempre se stesso, positivo, aperto al dialogo con gli altri, disposto ad ascoltare ma non a transigere, se si trattava di subire compromessi. Era una persona buona, onesta, intelligente e capace, dotato di buon senso e di una sottile ironia, propria del fiorentino quale era orgoglioso essere. A suo agio sempre sia con i più semplici come pure con i blasonati esponenti delle case regnanti.

Indimenticabile la cena a Firenze, con Carlo e Diana d’Inghilterra finita – grazie al suo humor coinvolgente – con la messa al bando dei cerimoniali e un condiviso omaggio alla bistecca e al Chianti di annata. Amava profondamente la sua città, la conosceva in ogni tratto, e non si sarebbe mai staccato dalle rive dell’Arno.
Quando Giovanni Spadolini, segretario nazionale del partito repubblicano, gli ’impose’ – proprio perché aveva bisogno della sua onestà cristallina – di assumere la presidenza dell’Associazione delle cooperative laiche (Agci), cercò di scongiurare fino all’ultimo la designazione per la quale molti altri avrebbero fatto le corse. Ero presente al colloquio, una domenica pomeriggio, a Pian dei Giullari. “Io, a Roma, Professore? (lo chiamava come noi, suoi allievi al ’Cesare Alfieri’). Non fa per me, non sarei utile, che vado a fare?”.

In realtà le Brigate Rosse non hanno colpito a caso. Hanno ucciso la persona su cui Spadolini puntava per un autentico rinnovamento, per restituire alla gente l’immagine di pulizia e di rettitudine che si andava deteriorando all’interno dei partiti politici. Una crisi avviata a trasformarsi ineluttabilmente in un crescente rigetto, destinata a sfociare nella crisi dei primi anni Novanta e nella fine della Prima Repubblica. Lando Conti era l’unico uomo capace di avvicinare la spaccatura fra la politica e le p ersone comuni, poiché ’uno di loro’ era finalmente chiamato ad amministrare il bene comune.

Non si offendeva quando – succeduto alla guida di Palazzo Vecchio a una personalità forte quale quella di Alessandro Bonsanti – lo chiamavano in modo riduttivo (e non senza una punta di invidia per il successo che andava raccogliendo) ’il sindachino’. Noi oggi sappiamo quanto Firenze e l’intero Paese debbano alla lezione morale, politica e civile di quell’indimenticabile “sindachino”.
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