Assolto dai capi d’accusa l’imputato Giuseppe Garibaldi, oggi ascritto al banco degli imputati nel processo che si è svolto in un tribunale sui generis a Villa Vascello, sede del Grande Oriente d’Italia a Roma. Avere invaso e procurato l’insurrezione del Mezzogiorno, aver determinato danni allo sviluppo economico del nord Italia, aver posto fine al potere temporale dei Papi: questi i capi d’accusa che pendevano sul singolare imputato, già gran maestro della Massoneria e protagonista di uno dei capitoli più importanti della storia italiana.
Accusa, difesa e Corte si sono confrontati sugli aspetti più significativi della figura storica, attraverso un excursus della sua vita: dalla passione che guidò la spedizione dei Mille alla disobbedienza del condottiero, dall’amore per le donne alla sua singolare prosa, la vita di Garibaldi è stata messa a nudo nei suoi aspetti più umani. Nei panni del pubblico ministero c’era il giornalista e scrittore Roberto Gervaso, mentre del collegio di difesa facevano parte lo storico Santi Fedele e lo psicoterapeuta e scrittore Alessandro Meluzzi. Giudici a latere lo storico e politologo Massimo Teodori e lo storico Fulvio Conti. A decretare il verdetto, davanti a una giuria d’eccezione, il presidente del collegio giudicante, il senatore Valerio Zanone.
Il ‘giudice’ ha sciolto la riserva della Corte dichiarando l’imputato assolto per i primi due capi d’imputazione “perchè il fatto non sussiste”, e dalla terza accusa perchè “il fatto sussiste ma non costituisce reato”. Il pm Gervaso, che ha dovuto condurre l’accusa a Garibaldi, si è focalizzato sugli aspetti stilistici della vita del personaggio: “Al mio posto dovrebbe esserci Bossi”, ha detto ironico il giornalista, che alla fine del processo ha precisato: “La prossima volta non voglio essere costretto a stare dalla parte dell’accusa verso un personaggio come Garibaldi”.
Lo scrittore, nella sua arringa, ha sottolineato gli aspetti più umani del condottiero, definito “spesso ingenuo”, ma anche “un passionale e un entusiasta”. Tra i capi d’accusa individuati dal giornalista, il più pesante è quello dei manoscritti a firma del condottiero, che hanno indotto Gervaso a chiedere alla corte “la condanna a 10 anni di reclusione in compagnia dei classici”. E, ironizzando sull’ingenuità del personaggio, secondo lo scrittore “una delle sue colpe maggiori”, Gervaso ha raccontato un aneddoto sul rapporto tra il condottiero e i romani: “Garibaldi capì i romani meglio del Belli -ha ironizzato- Disse ‘siate seri’ e mai esortazione cadde più nel vuoto”.
A scagionare il prestigioso imputato dalle accuse, le motivazioni della corte, esplicitate dal ‘giudice’ Zanone. Riguardo al primo capo di accusa, il condottiero è stato assolto perchè “senza la spedizione dei Mille il processo di costruzione dell’unità nazionale probabilmente non sarebbe andato molto in là-ha osservato Zanone- la conquista della Sicilia e del Mezzogiorno ha dato la processo di unità nazionale quella grandezza che altrimenti non avrebbe avuto, liberando il sud dalle due barriere dell’acqua salata e dell’acqua santa”.
“A giovarsi dell’Unità Nazionale -ha proseguito in merito al secondo capo d’accusa- almeno sulla Prima Guerra Mondiale furono le industrie del Nord, e il grande miracolo economico avvenne grazie alla grande forza meridionale. Credo che i bergamaschi che presero parte alla spedizione dei Mille vedessero meglio che molti bergamaschi che oggi vanno a Venezia”.
(Adn kronos) 22 SET 2007