Quando sl pensa al rapporto che sussiste tra Mozart e li cinema, viene subito alla mente il celeberrlmo film di Milos Forman “Amadeus”, La pellicola del regista ceco ha costituito un autentico caso culturale. Dall’anno in cui fu lanciata nelle sale, nell’ormai lontano 1984, è stata vista da spettatori di tutto il mondo, contribuendo in maniera decisiva a rendere II musicista salisburghese di gran lunga il più apprezzato tra i compositori del genere classico. Al di là della vicenda romanzata, che affingeva alla trita quanto inverosimile Illazione circa l’invidia morbosa del collega Salierl, o dei tratti caricaturali con cui veniva raffigurato Mozart nella sua sciocca ilarità, uno degli Indubbi pregi del film risiedeva piuttosto nella colonna sonora, ricca di tanta musica mozartiana. Moltissime scene traevano vigore dal brani cul venivano associate, generando un connubio tra musica e immagini destinato a imprimersi, se è lecito dirlo, nella memoria collettiva. Per quanto la fama di “Amadeus” sovrasti senza alcun dubbio quella di qualsiasi altro film dedicato alla figura mozartiana, va da sé però che un discorso sul rapporto Mozart e il cinema non può certo limitarsi a questo solo titolo. L’argomento, in verità, richiede di essere sviluppato In molteplici modi, tenendo conto di numerose possibili sfaccettature. Se Il lavoro di Forman è un esempio di opera cinematografica in cui il musicista è reso protagonista della trama e quindi entra a far parte dello schermo a partire dalle sue caratteristiche biografiche, sia pure, come detto, ampiamente romanzate, ci sono diverse altre posssibilità. Molto più spesso è la musica di Mozart, anziché il personaggio stesso del compositore, a divenire Il fattore più rilevante in un film. Qui si può ricordare in.particolare il genere del film-opera in cui i titoli mozartiani hanno ricoperto un ruolo molto importante. La resa cinematografica del lavori teatrali di Mozart ha impegnato diversi celebri registi. Può bastare citare II flauto magico con la regia di Ingmar Bergman (1975)011 Don Giovanni con la regia di Joseph Losey (1979) per aver presente due capolavori assoluti in proposito. Il tema Mozart-cinema è, in definitiva, della massima ampiezza, non riassumibile in poche parole. Non è un caso pertanto che in merito siano stati prodotti vari studi, tra cui un’Intera monografia firmata dal critico cinematografico Enrico Glacovelli: Mozart e il cinema: i film su Mozart, i film da Mozart, I film con musiche di Mozart (2017). Già solo aprire un capitolo in merito alle colonne sonore basate su musiche mozartiane risulterebbe qui troppo vasto. Sono troppi infatti I registi, di ogni livello e dl ogni nazionalità, che si sono rivolti al genio di Salisburgo quando si è trattato di scegliere le musiche attraverso cui costruire le colonne sonore dei loro lavori. I brani di Mozart spuntano, per così dire, In pellicole di ogni genere e di ogni tempo: dal classici in bianco-e-nero alle produzioni più recenti. Limitarsi a un paio di composizioni può essere sufficiente a fornire un suggerimento significativo per comprendere quale sia stata e quale continui ad essere l’importanza della musica di Mozart nel dare nutrimento e ispirazione nel campo dell’arte cinematografica. Le due composizioni in questione sono il Concerto per clarinetto e orchestra in La maggiore K. 622 e II Quintetto per clarinetto e archi in La maggiore K. 581. Come è ben noto, il rapporto speciale che Mozart intrattenne con li clarinetto, strumento ai suoi tempi ancora in via di perfezionamento tecnico, riposa principalmente nella sua forte amicizia con Anton Stadler, grande virtuoso strumentale e abilissimo musicista. Stadier, che era confratello massone dl Mozart, costituì uno stimolo continuo per il genio creativo mozartiano. Le due composizioni citate sono soltanto le più celebri tra quelle che, nel catalogo di Mozart, discendono dall’intimo rapporto umano e musicale tra I due. Il Concerto K. 622 è giudicato spesso come il più pregevole brano solistico per strumento a fiato mai scritto nel corso della storia della musica. Anche il Quintetto K. 587 viene nominato di frequente tra le più belle opere cameristiche del repertori classico. Due veri capolavori, insomma: non ci si può stupire quindi se tanti registi, sebbene di formazione artistica e culturale disparata, li abbiano tenuti in così alta considerazione. 1V . Jean-Luc Godard, maestro indiscusso della cosiddetta Nouvelle Vague francese, può essere l’autore con cui cominciare questa breve rassegna. Il Concerto per clarinetto compare in due sue opere cinematografiche. In una scena articolata di “A bout de souff le” (“Fino all’ultimo respiro”, del 1960) i protagonisti ascoltano un disco della composizione mozartiana. Michel (Jean-Paul Beimondo), spericolato delinquente, rammenta che suo padre segue alla pagina 15 segue dalla pagina 14 era un clarinettista, poi si addormenta mentre Patricia (Jean Seberg) decide di denunciarlo alla polizia. La sequenza sonora propone l’inizio del primo movimento e un tratto del Rondò finale, sorvolando, attraverso l’Idea di uno stacco temporale, sul celeberrimo Adagio. Proprio quest’ultimo brano è invece al centro di una scena di un altro film di Godard, “Masculin, féminin” (“il maschio e la femmina”, del 1966), dove pure qul II protagonista, tra le proteste della fidanzata che aspira a diventare una cantante di musica leggera, propone l’ascolto di un’incisione discografica del brano. SI può notare comunque, al di là di questa concentrata citazione dell’Adagio, come il tema dell’Allegro iniziale riecheggi altrove in una delle caratteristiche sospensioni narrative che costellano la struttura smembrata del film. Quello dell’Adagio mozartiano è, In assoluto, uno dei temi più frequentemente adoperati nelle colonne sonore cinematografiche. Esso sta, per esempio, al centro di una scena cruciale di “Padre padrone” (1977) dei fratelli Taviani, in cui si scatena la ribellione del figlio contro il tirannico genitore. Il rifiuto di spegnere la radio, l’insistenza nel fischiare il tema dopo che il padre ha danneggiato l’apparecchio immergendolo sotto l’acqua: tutto ciò segna l’Innesco della rivolta. A livello internazionale la scena del film del Taviani, per quanto emblematIca e intensissima, non può competere per notorietà con altri momenti della cinematografia in cui l’Adagio mozartiano emerge come brano protagonista. La presenza più famosa in tal senso è senz’altro quella all’Interno del film “Out of Africa” (“La mia Africa”, del 1985) di Sydney Pollack. Il secondo movimento del concerto mozartiano in ogni caso compare nella colonna sonora di numerose attre pellicole. In merito possono essere ricordati alcuni titoli: “American gigolò” (1980) di Paul Schrader, “Green card” (“Matrimonio di convenienza”, del 1990) di Peter Web’, “lo ballo da sola” (19%) di Bernardo Bertolucci, “L’age de raison” (“Carissima me”, del 2010) di Vann Samuell. L’inserimento dell’Adagio mozartiano da parte dei registi o di chl è responsabile delle scelte musicali avviene, di solito, in momenti segnati da ciò che si potrebbe definire uno “spazio di apertura”. Talvolta il brano accompagna la visione di un vasto ambiente naturale, ma talvolta si tratta di un’apertura metaforica e disperata: di un piccolo spazio di resistenza per la libertà, contro le oppressioni, più o meno palesi, operate dalle differenti dinamiche della società. Passando ora al Quintetto K. 581, sl può notare una funzione molto simile attribuita al suo secondo movimento Larghetto. l due brani, del resto, si assomighano notevolmente, a partire dal profilo melodico iniziale e dalla tonalità di Re maggiore. Qui può essere citata una scena particolarmente significativa tratta dal film “WUSA” (“Un uomo oggi”. del 1970) di Stuart Rosenberg in cui il protagonista Rheinhardt (Paul Newman), mentre Il Concerto K 662 e il Quintetto K 581 appunto risuona li Larghetto mozartlano, racconta a Geraldine (Joanne Woodward, ossia la moglie di Newman nella vita reale) di cc:A-ne, da clarinettista fallito, sia divenuto un conduttore radiofonico ubriacane e al soldo dei magnati e dei politici corrotti. Il secondo movimento del Quintetto è presente, sia pure marginalmente, In altre pellicole, come per esempio in “Funny Games” (1997) di Michael Haneke. Anche gli altri movimenti della composizione hanno svolto tuttavia un ruolo di rilievo nelle colonne sonore cinematografiche. Il Minuetto, per esempio, compare in “Apartment for Peggy” (“Amore sotto i tetti”, del 1948) di George Seaton, laddove alcuni personaggi del film lo eseguono in un arrangiamento per flauto, archi e arpa. La caratteristica strana del Quintetto nelle sue apparizioni cinematografiche è proprio quella di stimolare l’adozione degli arrangiamenti più vari. Nel film “Le bonheur” (“Il verde prato dell’amore”, del 1965) di Agnès Varda il primo movimento compare rielaborato e riarrangiato in una curiosa versione per quintetto di fiati che accompagna l’idillica visione di una scampagnata primaverile della famiglia protagonista. Sempre l’arrangiamento del primo movimento è al centro di alcune scene del film televisivo “Goodbye, Farewell and Amen” (1983) realizzato a conclusione della serie “M’A’S*1-1”, ispirata in origine all’omonimo film di Robert Altman. In questo episodio finale, che mise termine alla fortunata serie ambientata durante la guerra di Corea, Il maggiore Charles Wintchester cerca di far eseguire a un gruppo di prigionieri cinesi il Quintetto mozartiano. Allo scopo si avvale di quanto riesce a reperire in qualche modo in un misto di strumenti etnici (flauto, violino cinese e sonagli) e strumenti occidentali (violino e fisarmonica). Quest’ ultimo esempio conferma quanto detto prima. Non solo le opere per clarinetto di Mozart possiedono un intrinseco valore musicale davanti al quale nessun regista può rimanere Insensibile. Ciò accade a prescindere dalla personale poetica artistica del cineasta e dal mezzi tecnici che egli utilizza per esprimersi. Ma c’è anche una sottile traccia che accomuna ogni volta la scelta di far risuonare la musica dl Mozart, in special modo quella per clarinetto. Questi capolavori costituiscono un evento di irruzione quasi gratuita che apre spazi insperati e, per certi versi, disperati dl senso in una realtà che in genere ne è crudamente priva. Come appare scritto In Godard: “La purezza non è di questo mondo, ma ogni dieci anni se ne vede un barlume, un lampo”.