Buonasera a tutti, gentili signore, cari amici e cari fratelli e grazie di essere qui insieme ai membri della giunta del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani che invito ad affiancarmi anche in questa allocuzione.
Il gran maestro aggiunto Antonio Seminario, il primo gran sorvegliante Sergio Monticone, il secondo gran sorvegliante Marco Vignoni, il grande oratore Michele Pietrangeli, il gran tesoriere Giuseppe Trumbatore, il gran segretario Emanuele Melani, il presidente dei grandi architetti revisori Fabio Federico, i consiglieri dell’Ordine in giunta Adriano Tuderti da Roma e Antonio Mattace Raso da Bari.
Siamo lieti e onorati di darvi il benvenuto alla celebrazione del XX Settembre e di vedervi in tantissimi al Vascello. Siamo lieti e onorati di darvi il benvenuto alla celebrazione del XX Settembre e di vedervi in tantissimi al Vascello. Vi ringrazio, cosi come desidero ringraziare un fratello, che ha pensato questo giorno, che ha atteso questo giorno preparandolo in maniera meticolosa che purtroppo oggi non é qui insieme a noi. E’ il nostro fratello Massimo. Il primo applauso va a lui. Va a lui insieme a lui ai fratelli che ha addestrato mirabilmente in questa occasione. Se tutto va bene il merito è suo, se qualcosa non va bene la responsabilità è esclusivamente mia.
Grazie Massimo per quello che hai fatto per questo appuntamento che è fra i più importanti fra quelli che il nostro Ordine celebra ogni anno.
E oggi, come in passato, il nostro obiettivo è sempre lo stesso: celebrare tutte le battaglie della libertà, a cominciare da quella che nel 1870 con la Breccia di Porta Pia pose fine al dominio della Chiesa, favorendo la nascita dell’Italia libera e laica.
E da uomini liberi e aperti al Mondo, da convinti e solerti propugnatori della Tolleranza verso Tutto e Tutti, noi massoni del Grande Oriente d’Italia continuiamo con orgoglio e senza alcuna paura a sbandierare il valore della Laicità, di questa parola spesso abusata e mortificata che fa parte del nostro dna, del nostro modo di essere e di agire da liberi muratori e liberi cittadini. Lo abbiamo fatto in passato, nelle epoche più buie della storia, e continuiamo a farlo oggi con quella responsabilità che ci spinge sempre ad azioni volte al Bene di tutti e dello Stato in cui viviamo e del quale rispettiamo la Costituzione e le leggi che alla stessa si conformino.
Laicità per noi, in coerenza con quanto dettato dalla Corte Costituzionale, non significa rifiuto o negazione della religione, della fede, di Dio ma rispetto di tutte le proprie personali e legittime convinzioni e lo Stato è, e dev’essere, il garante di tutti. Di tutte le fedi, di tutte le convinzioni, di tutte le religioni. E’ per questo che celebriamo il XX settembre e dovrebbero farlo tutti coloro che credono nell’unità dello Repubblica italiana. E questa festa dovrebbe essere ripristinata nel calendario civile come indicato da alcune proposte di legge presentate in parlamento e finite nel nulla. Non si tratta di innalzare barriere anticlericali ma dare il giusto valore a una data fondamentale della storia civile italiana a cui tutti dobbiamo inchinarci con rispetto.
Ecco, la parola rispetto.
In tempi carichi di odio e di guerre noi pronunciamo questa parola che sembra eresia. Lo facciamo con costanza. Abbiamo la scorza e la testa dura come gli antichi muratori e come la solida calcina che usiamo per unire le nostre lucenti pietre per la simbolica costruzione del Tempio. Siamo stati capaci di non piegarci alla violenza della pandemia che ci ha costretto in alcuni periodi a chiudere i templi e a non poterci abbracciare e lavorare ritualmente. Ma il virus non ci ha impedito ne’ potrà mai impedirci di continuare la nostra Grande Opera, per l’affermazione dei principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. Ci siamo ritrovati, appena è stato possibile, osservando tutte le precauzioni, indossando la mascherina e senza stringerci le mani. Per due volte ci siamo trovati in gran loggia, nel 2020 e nel 2021. Precisi, rigorosi, non ci siamo abbracciati ma siamo stati appaiati. Quando ci abbracciamo diventiamo una sola persona. L’abbraccio, che ci è mancato, lo hanno inventato per questo. Non abbiamo potuto farlo per due lunghi anni e anche ora dobbiamo essere molto prudenti. Ma anche senza abbracci la catena d’unione non si spezza. Vorrà dire che cammineremo appaiati ma non mancherà il sostegno dell’uno all’altro, il conforto, il senso di comunione, come abbiamo fatto in questi anni durissimi trasformando le pietre simboliche del nostro lavoro rituale in reali e solidi Mattoni della fratellanza.
Così l’abbraccio c’è stato comunque, lo abbiamo fatto sopravvivere a tutte le intemperie, perché veniamo da lontano. Abbiamo attraversato, tra la luce e il buio, tutte le epoche perché siamo eterni e instancabili “viaggiatori nel tempo”. Veniamo dal passato ma siamo presenti nel tempo, senza esserne schiavi, e proiettati nel futuro. Le nostre radici sono forti come quelle degli alberi, come le radici di quel tiglio che è lì, di fronte a me, come una sentinella, che guarda quello che facciamo e, se lo facciamo bene, ci protegge. Ne ha viste di tutti i colori; è il tiglio più antico di Roma. Ha radici solide perchè antiche, è cresciuto negli anni, e l’albero che cresce non ha paura delle proprie radici che si protendono a dismisura sottoterra.
Guardiamo avanti. Andiamo avanti. La nostra meta finale è e resta quella della Fratellanza Universale, la realizzazione di un futuro di pace e cooperazione dei popoli dove tutti siano fratelli di tutti.
Certo non abbiamo i paraocchi e da tempo abbiamo capito di avere a che fare con un periodo complicato per l’Umanità, e quindi anche per noi. Percorriamo una strada lastricata di allarmi e macigni che si chiamano pandemia, guerra nel cuore dell’Europa e cambiamenti climatici che diventano sempre più preoccupanti.
La pandemia ci ha distanziati, martoriati negli affetti più cari e ci ha anche resi più cupi e persino egoisti. Ha diviso gli uomini di Scienza, ai quali va il nostro sentimento riconoscente per quello che hanno fatto, soprattutto a coloro che “hanno fatto”.
Non siamo ancora usciti dal ciclone covid. Attenzione e prudenza.
Restano i problemi legati all’economia, al lavoro perso da tanti, a quello sottopagato e a quello che non c’è. Solo il lavoro dà dignità ad ogni persona. Nessuno ne deve essere privato, tutti devono avere maggiori opportunità. Noi non diciamo per chi votare o per chi non votare perchè rispettiamo le regole del nostro essere al governo del Grande Oriente d’Italia ma auspichiamo che il nuovo parlamento possa varare preparare e attuare progetti capaci di affrontare le emergenze e garantire la dignità del lavoro a tutti e l’istruzione a tutti, perchè non vorremmo che tra carolibri e crisi energetica fosse ancora la scuola pubblica a rimetterci e soprattutto non vogliamo che a farne le spese siano i ragazzi e soprattutto i figli delle famiglie in difficoltà. Non lo vogliamo!
E si spera inoltre che al più presto possa chiudersi la pagina drammatica della guerra in Ucraina che ha portato morti e distruzioni. Noi, abbiamo dato un piccolo contributo, facendo dialogare in Gran Loggia i fratelli ucraini e russi e aiutando i nostri fratelli che hanno avuto case e posti di lavoro distrutti. Crediamo che solo una forte politica diplomatica possa e sia necessaria per far sedere al tavolo le parti in causa e arrivare a un piano di pace.
Non sappiamo ancora quando finirà questa maledetta guerra ma sappiamo bene quali sono i rischi d’estensione del conflitto vista la notevole quantità di armi atomiche in grado di distruggere l’umanità.
Sappiamo anche quanto male tutti stiamo facendo da decenni alla Terra. Parlo del problema clima. Sempre più attuale, sempre più vitale. Abbiamo preso in giro Greta Thumberg. Lei si è presa la sua rivincita e ci ha avvertito: “La crisi climatica continuerà a intensificarsi e a peggiorare finché mettiamo la testa sotto la sabbia e diamo la priorità al profitto e all’avidità rispetto alle persone e al pianeta”. Quante volte ho ripetuto l’affermazione del capo indiano: “Non è la terra che appartiene a noi ma noi che apparteniamo alla Madre Terra”. Difendiamo il pianeta e pensiamo anche a irrorarla con l’acqua che è fondamentale per la vita di uomini, animali e piante.
L’acqua è come la libertà, te ne accorgi quando manca. La siccità da record di questa estate ha colpito le colture e ha provocato danni ambientali. Dopo aver sottovalutato e perfino ridicolizzato l’attivista svedese ora ci accorgiamo che senz’acqua muore la vita. Senz’acqua non c’è vita. A prendere sul serio Greta sono stati solo i più anziani, i nonni, coloro che hanno bevuto l’acqua tirata su dal pozzo con secchi di alluminio, coloro che hanno fatto il bagno nel catino, coloro che non avevano il rubinetto nel lavandino e chi andava a lavare i panni nel fiume. Loro sì, hanno capito che questa ragazzina svedese aveva visto lontano. Anzi, molto vicino, perché i grandi e piccoli fiumi italiani in estate sono stati quasi in secca. Il Po, il Tevere. Anche l’Arno: la sorgente ridotta a un rigagnolo sotto la lapide con i versi di Dante: “un fiumicel che nasce in Falterona e cento miglia di corso nol sazia…”.
Allora riflettiamo e soprattutto cominciamo ad agire.
Il futuro dei Viaggiatori nel tempo è essere ancorati alla terra. Ma essere ancorati alla terra non vuol dire non andare avanti con intelligenza e prudenza, equilibrio e coraggio. Mi viene in mente un simbolo, l’aratro. Ho avuto la fortuna di conoscere questo antico strumento per rivoltare la terra, per aprirla alla fecondazione. Ormai è un oggetto dimenticato, relegato in qualche museo della civiltà contadina. L’aratro rappresenta la continuità, direi l’unicità, tra oggetto, animale, uomo.
Il bue che trascina l’aratro con fatica, l’uomo che lo guida con destrezza e precisione (“Stai al solco” diceva il contadino), che lo preme con vigore nel terreno e il vomere d’acciaio penetra nel profondo della terra. L’aratro è indice di potenza, di forza, di pazienza, di caparbietà, di fiducia del futuro perchè prepara la terra che aspetta l’acqua, il sole e la cura dell’uomo per il seme.
L’aratro è memoria. Ma il mondo è in evoluzione, cambia, si trasforma. L’aratro, così come lo abbiamo conosciuto, non c’è più. Non facciamoci trovare impreparati ma neppure dobbiamo farci schiacciare dalle trasformazioni. C’è un marchio, è il marchio di una banca popolare della campagna toscana che è un’efficace sintesi di tradizione e innovazione: i manici dell’aratro si trasformano in sottili ali sospese nell’aria, il vomere assume la sembianza e la leggerezza del volo di un gabbiano, dalla profonda terra all’azzurro del cielo.
Guardare in alto, volare in alto, volare verso il cielo, con i piedi sulla terra. Quello che sta in alto è come ciò che sta in basso, quello che sta in basso è come quello che sta in alto.
Il Grande Oriente d’Italia è stato sempre capace con i suoi uomini di andare incontro al futuro interpretando e talvolta anticipando i cambiamenti dell’umanità e contribuendo alla crescita e al Bene di tutti. Lo facciamo ancora preparando uomini che vogliono essere migliori, non “i migliori”. Uomini migliori che fanno parte di una squadra, che fanno parte di un’orchestra. Nessuno di noi può suonare la chitarra e il piano nello stesso momento. Nessuno di noi, da solo, è più forte di tutti noi insieme.
Dice Michael Jordan, il più grande giocatore di basket di tutti i tempi: “Il talento ti fa vincere una partita, il gioco di squadra ti fa vincere i campionati”. E noi vogliamo vincere i campionati. Di qualche vittoria portiamo lo scudetto nell’anima, in un luogo invisibile, altri si aggiungeranno.
I nostri campionati vinti sono stati la nascita della Fondazione (Domani sarà visitabile la sede, per la prima volta, con le stanze più belle del Vascello), e l’acquisto e la valorizzazione delle case-gioiello di Bologna, Cosenza, Pescara, Udine, Taranto.
Il nostro campionato vinto è la convenzione con l’Archivio centrale dello Stato che ci fa riportare a casa i documenti sequestrati con la violenza dal fascismo; e poi la resistenza alle pretese della commissione Antimafia dell’altra legislatura che voleva metterci fuori legge (lo scrisse nella relazione finale. Noi ci siamo ancora); e poi, un altro campionato, le richieste di un magistrato che trenta anni fa, il 20 ottobre, mandò qui, al Vascello, i carabinieri per prenderci gli elenchi. Li mandò qui, in questo palazzo, per prendere i nostri nomi. Li prese dopo giorni e settimane di paure e un’inchiesta finita nel nulla per ben due volte. E le ormai tristemente famose liste Cordova sono ancora in rete, si trovano su internet. Dovranno sparire. Non è facile, ci stiamo lavorando. Lo dobbiamo ai fratelli passati all’oriente eterno, alle loro famiglie che per quei sequestri e quelle liste di proscrizione hanno subìto, e subiscono ancora, danni morali e materiali.
Quei giorni di 30 anni fa furono devastanti per il Grande Oriente d’Italia. Rimanemmo soli, circondati da diffidenze e da pochi amici; anche dall’estero alcuni ci sbeffeggiarono e ci tolsero il saluto. Ma a volte ritornano. Oppure arrivano nuovi amici. La Sovrana Gran Loggia di Malta ci ha chiesto il riconoscimento poche settimane fa. Ne siamo orgogliosi. Ringrazio anche oggi il gran maestro della Sovrana Gran Loggia di Malta che ha chiesto di suggellare con un atto formale la fratellanza con il Grande Oriente d’Italia. Grazie Simon. Grazie per la sensibilità e l’affetto che ci hai voluto dimostrare nonostante le malevole incursioni di qualche pifferaio poco magico e molto maldicente.
E’ il primo passo… per….per ristabilire la Giustizia. Ci riprenderemo quello che anche per colpa di traditori ci è stato ingiustamente tolto. E ce lo riprenderemo perché ce lo meritiamo.
Il Grande Oriente d’Italia, da tre anni è nella Confederazione massonica interamericana e si è guadagnato sul campo la dignità internazionale. Aumenterà ancora. Statene certi, a dispetto di qualche uccello del malaugurio e di qualche denigratore seriale che vorrebbe l’opposto. Si dirà: “Non c’è tempo”.
Il tempo non ci manca, “nella vita ci sono più giorni che salsicce” dicono nelle campagne toscane.
E, a proposito di tempo e di date, non dimenticate il 13 ottobre. Tra un mese saremo al Consiglio di Stato al quale ci siamo rivolti affinchè rimetta al Tar del Lazio la decisione sulla proprietà di palazzo Giustiniani. Noi e i nostri avvocati siamo convinti che quel palazzo deve tornare a chi ne è proprietario. E il proprietario è il Grande Oriente d’Italia. Lo dicono le carte, si rileva dai documenti. La Giustizia, siamo certi, farà…giustizia perchè è più forte delle violenze e degli inganni. Lì è stato ucciso un nostro fratello, il gran maestro aggiunto Achille Ballori; lì i nostri fratelli hanno resistito agli assalti degli squadristi. I fascisti si presero quel nostro palazzo. Con la forza, mentre il gran maestro era al confino di polizia e non poteva reagire. La Repubblica ha firmato un atto pubblico in cui ci assegna 140 metri quadrati per allestirvi un museo. Non pensino che ci dimentichiamo di quello che è giusto e dovuto, di quello che è stato scritto e firmato, di quello che è stato annunciato nel 1988, pensate, dall’allora presidente del Senato Giovanni Spadolini quando disse che quel museo doveva testimoniare “il significato del contributo che il Grande Oriente d’Italia ha reso alla tormentata storia d’Italia dal Risorgimento in poi. Ed è così che il Senato -deceva Spadolini- patrocinerà idealmente la costituzione di un museo che possa rendere pubbliche quelle testimonianze intrecciate alla nostra vicenda nazionale”. Non abbiamo paura a rivendicare quello che ci spetta.
Noi non ci facciamo immobilizzare dalle paure. Sappiamo trasformare i momenti difficili in opportunità perchè la nostra agenda è dettata dalla voglia di fare, non dalla paura. E’ dettata dai desideri. Dalle visioni, non dagli incubi. La nostra agenda è fatta di desideri, di ambizioni legittime.
Semmai, ognuno di noi dovrebbe mettere da parte visioni condominiali e avere qualche visione un po’ più alta ed evitare tutti i rischi di cadere nel narcisismo che nasce dalla legittima e umana aspirazione ad avere riconoscimento e attenzione ma l’ambizione sfrenata diventa patologia socialmente distruttiva quando l’io prevale sul noi. Noi, che riteniamo di essere iniziati, non possiamo derogare dalla via maestra da percorrere senza cadere nelle molteplici trappole dell’ego e dell’interesse personale.
Non si deve dimenticare la leggenda di Hiram e dei tre cattivi compagni che si chiamavano menzogna, fanatismo, smisurata ambizione. Dico questo perché chi bussa alle porte del Grande Oriente d’Italia presta una promessa solenne e spontaneamente si impegna a rispettare le regole sancite dalle Costituzioni e dagli Antichi Doveri che non sono in contrasto con la Costituzione della Repubblica e le leggi dello Stato, ma con loro si armonizzano, e si impegna moralmente a rispettare questo patto associativo anche nel caso, spiacevole, di incappare in un procedimento disciplinare interno per un comportamento non appropriato e disdicevole. E’ tutto qui. E’ tutto molto semplice da capire per chi vuol capire. Non c’è supremazia delle nostre regole interne sulle leggi dello Stato (ci mancherebbe altro) ma di questioni disciplinari liberomuratorie si parla al nostro interno, non sui social e non nelle aule di un tribunale civile. Spero di essere stato chiaro.
Allora cari amici, cari fratelli, voglio concludere questa allocuzione dedicata al viaggio attraverso le intemperie invitando tutti riflettere sulle parole di un’antica leggenda che ha come titolo “Anche questa passerà”.
Un re chiese ai saggi di corte un anello speciale: “Voglio che fabbrichiate per me un anello che racchiuda un messaggio che possa aiutarmi nei momenti di disperazione. Il messaggio dovrà essere breve, affinché possa essere contenuto nell’anello”. Gli eruditi non sapevano come trovare un messaggio di sole due o tre parole.
Il sovrano aveva un vecchio servo, che con umiltà si fa avanti e gli dice: “Non sono saggio né erudito ma so di quale messaggio avete bisogno, perché un uomo mi disse queste parole molto tempo fa”. L’anziano scrive tre parole su un foglietto, poi lo piega e lo consegna al re, avvisandolo: “Non leggetelo, ma tenetelo nascosto nell’anello. Apritelo solo quando tutto andrà male e vi sembrerà che la situazione in cui vi trovate non abbia soluzione”.
Il momento fatidico giunge quando il regno viene invaso ed il re costretto a fuggire a cavallo per salvarsi dai nemici che lo inseguono. Arriva in un luogo in cui il cammino costeggia il bordo di un precipizio. In quel momento si ricorda dell’anello. Lo apre, estrae il foglietto e legge il messaggio: “Anche questa passerà”. Mentre legge quella frase i nemici che lo seguono si perdono nel bosco sbagliando il cammino e presto il re non sente più il rumore dei cavalli. Dopo quell’assalto, il re riesce a riunire il suo esercito e a riconquistare il regno. Nella capitale si celebra una grande festa. Il re vuole condividere la sua felicità con l’anziano servo, ringraziandolo per quella provvidenziale perla di saggezza. Gli racconta in che modo quelle semplici parole lo avevano aiutato a non farlo scoprire dai nemici e a non buttarsi giù dal precipizio quando tutto sembrava perduto.
L’anziano sorride, comprendendo l’allegria del re, e gli dice: “Legga, legga nuovamente il messaggio”. Vedendo il volto sorpreso del re, che a stento comprende l’idoneità del messaggio in quel momento di festa, gli spiega: “Non è solo per le situazioni disperate, ma anche per quelle piacevoli. Non è solo per quando tutto va in frantumi, ma anche per quando ci si sente vittorioso. Non è solo per quando si è l’ultimo, ma anche per quando si è il primo”.
Il re apre l’anello e legge di nuovo il messaggio: “Anche questa passerà”. Allora, e soltanto allora, comprende la profondità di quelle parole. “Tutto passa, o perché rimane indietro o perché ti ci abitui” gli ricorda il vecchio servo. E allora che cosa resterà per sempre? “Restiamo noi” dice il servo.
Ma che cosa vuol dire “restiamo noi”?
Me lo sono chiesto anche io ed io rispondo così.
Rimarranno le nostre azioni, rimarranno le nostre opere, se le avremo fatte. Rimarrà quello che abbiamo costruito, se avremo costruito. Rimarranno le nostre gioie e i nostri dolori. Rimarranno i nostri difetti e le nostre virtù. Rimarranno le cicatrici delle nostre ferite a ricordarci chi ce l’ha procurate e a ricordarci che siamo stati capaci di cucirle.
Rimarranno il nostro coraggio e le nostre paure. Rimarranno la nostra forza e la nostra fragilità. Rimarranno i nostri sorrisi e i nostri pianti che hanno bagnato queste stanze, le nostre case, che hanno bagnato la spalla di chi ci è stato vicino.
Rimarranno le nostre opere, carissimi fratelli, è a voi che mi rivolgo, rimarrà il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani con i suoi due secoli di orgogliosa, travagliata e nobile storia. A questa Comunione tutti noi abbiamo dedicato e dedichiamo ogni giorno la nostra vita, il nostro operato, i nostri sacrifici, il nostro tempo, il nostro bellissimo e difficile cammino di eterni, audaci, tenaci, coraggiosi,tenaci fieri e mai domi Viaggiatori nel Tempo.
Viva il Grande Oriente d’Italia e Viva la Repubblica