Il libro del Gran Maestro Stefano del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi “Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani” ha due pregi fondamentali: coniuga informazione rigorosa sotto il profilo giuridico-giudiziario della complessa vicenda della rivendicazione da parte dell’Obbedienza della sua sede storica, ovvero Palazzo Giustiniani, e richiama al contesto nel quale la stessa obbedienza fu costretta a venderla allo Stato. Dopo ripetute vicende giudiziarie, il gran maestro Stefano Bisi preme il piede sull’acceleratore per una soluzione definitiva. Il Grande Risarcimento. Non solo dei Metalli, ma della Memoria. Ma che cosa mai potrebbe esporre il GOI in un museo della Massoneria? Niente più e niente di meno che la storia d’Italia.
Aldo A. Mola | 2 DICEMBRE 2022
Massoni? Alla luce del sole nel mondo.
A Londra tutti conoscono Freemasons Hall, il sontuoso palazzo in stile Liberty della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. I suoi templi, la sterminata biblioteca, gli archivi, i saloni frequentati dai vertici della dirigenza pubblica e da 200.000 visitatori all’anno, massoni e non massoni, insegnano che sulle rive del Tamigi la Libera Muratoria mostra orgogliosamente la propria identità. Come in Scozia, ove percentualmente i massoni sono ancor più numerosi. D’altronde cinque anni fa i “Fratelli” d’Oltre Manica hanno festeggiato trecento anni da quando il 24 giugno 1717 quattro “officine” dettero vita alla Gran Loggia di Londra, segnando il definitivo passaggio dalla massoneria operativa a quella speculativa, già prospettata da circoli di scienziati come la Royal Society di cui fu componente Isaac Newton. Altrettanto solenne è il Tempio massonico di Filadelfia, che attesta lo strettissimo legame fra le logge e la lotta per l’indipendenza delle “colonie” da Londra, annunciata nella celeberrima Dichiarazione: gli uomini nascono liberi e uguali e con diritto alla felicità. Vi si conserva la Bibbia sulla quale George Washington giurò da primo presidente degli Stati Uniti d’America. Ma altrettanto vale per le capitali dell’America Latina. Nella notte le sedi delle Grandi Logge o Grandi Orienti, secondo le denominazioni storiche, in molte città sono riconoscibili a chilometri di lontananza dai simboli illuminati che li sovrastano. A Parigi in rue Cadet 16 il Grande Oriente di Francia oltre ai templi (dominati dall’icona di “Marianne”, in aggiunta a quelli specifici del rituale) ospita un Museo di interesse mondiale, arricchito quando la Russia restituì alla Francia i documenti trafugati dai nazisti e poi requisiti dai sovietici, per i quali i massoni erano lo strumento della borghesia occidentale. Lo stesso vale per la Gran Loggia di Francia.
E in Italia? La Massoneria ha motivo di sentirsi discriminata e vittima da oltre un secolo, a tacere degli antichi regimi. Lo documenta Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia (GOI) in Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani (Edizioni Perugia libri, settembre 2022, info@perugialibri.it, cell. 335. 347260). Il libro ha, tra altri, due pregi fondamentali: coniuga informazione rigorosa sotto il profilo giuridico-giudiziario della complessa vicenda della rivendicazione della sua sede storica e il richiamo al contesto nel quale il Comitato di gran maestranza fu costretto a venderla allo Stato. La narrazione è percorsa dal robusto filo di emozioni vissute da Bisi sin da quando entrò la prima volta nella sede del GOI, in via Giustiniani 5, e nel ricordo del “custode” di quella sede, Mario Sacconi, al quale promise “Riaprirai quel portone”. Quel fratello “minuto, gentile nei modi ma fermo” è passato all’Oriente Eterno il 21 maggio 2018. Il portone è ancora sbarrato per i massoni, ma l’impegno a varcarlo in piena legittimità rimane, come appunto documenta Bisi.
Quando i massoni vissero a Palazzo Giustiniani
Senza togliere al lettore il piacere di ripercorrere la vicenda davvero kafkiana del contenzioso fra il GOI e lo Stato, ricordiamo, in sintesi, che dopo due sedi provvisorie durante la gran maestranza di Adriano Lemmi (1885-1896), la Massoneria italiana visse a Palazzo Borghese. Il 15 dicembre 1898 Ernesto Nathan propose alla Giunta esecutiva dell’Ordine di “affittare” il sontuoso Palazzo Giustiniani affacciato al n. 29 di via della Dogana Vecchia, alle spalle del Senato del Regno, centralissimo, due passi da Monte Citorio e da piazza della Rotonda, cuore pulsante della Terza Italia che prendeva auspici dalla solenne tomba di Vittorio Emanuele II, Padre della Patria al Pantheon. Esperite le pratiche, il 21 aprile 1901, Natale di Roma, Nathan inaugurò quello del GOI con un discorso programmatico presenti delegazioni di molte Comunità massoniche estere con le quali l’italiana aveva legami fraterni tramite lo scambio dei garanti di amicizia. Spiegò che il colore della Massoneria è “il bianco”, al di sopra dei “partiti” quali ne siano i colori.
Uso a guardar lontano, nel 1910 Ettore Ferrari, lo scultore del Giordano Bruno di Campo dei Fiori e del Giuseppe Mazzini nel 1949 scoperto all’Aventino, promosse la Società Urbs per acquistare Palazzo Giustiniani quale sede perpetua della Massoneria.
Lì anno dopo anno si adunarono le Assemblee del Grande Oriente. Nel 1911 il GOI vi festeggiò il cinquantenario della nascita del Regno e nel 1914, come dieci anni dopo narrò Gino Bandini nel Discorso su “La Massoneria per la Guerra Nazionale”, sin dall’estate venne immaginata una “legione sacra” di volontari pronti a scendere in campo per coronare il Risorgimento con l’annessione di Trento e Trieste, le terre irredente. In quei mesi i nazionalisti erano invece fautori dell’intervento in guerra a fianco dell’Impero di Germania, al cui modello militaristico si ispiravano. Il GOI dette il tributo di circa duemila caduti in guerra sui ventimila affiliati a conferma del suo indiscutibile patriottismo, apprezzato da Vittorio Emanuele III, dal Comandante supremo Armando Diaz e dal Grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel (membro del Supremo Consiglio della Serenissima Gran Loggia d’Italia, nata nel 1908-1910 per separazione dal GOI) nei messaggi di ringraziamento inviati a Nathan per l’eroico contributo di vite e di idee recato dai massoni alla Vittoria.
Nazionalisti o faziosi? La legge liberticida.
A metà febbraio del 1923 i Nazionalisti (Enrico Corradini, Luigi Federzoni, Alfredo Rocco…) entrarono a vele spiegate nel Partito nazionale fascista. La premessa della loro fusione fu la dichiarazione di incompatibilità fra logge e fasci, proclamata dal Gran consiglio del fascismo (un tracotante “comitato”, privo di qualsiasi valenza pubblica ma nondimeno influente), propugnata da un innominabile massonofago, fermo a quel che aveva appreso da chierichetto. L’Italia fu al bivio. Il blocco ideologico nazional-fascista, malgrado profonde contraddizioni interne (andava dal clericalismo a fantasie neopagane) pretese il monopolio dell’“Idea di Italia”. Per impossessarsene doveva annientare la Massoneria, ai suoi occhi più pericolosa dei partiti politici e dei sindacati, molti dei cui vertici erano affiliati. La vicenda ebbe ripercussioni all’interno delle gerarchie del PNF. Taluni suoi “ras”, avevano trascorsi massonici. Proprio alcuni di questi (fu il caso di Roberto Farinacci, “il più fascista”) nel 1924-1925 capitanarono l’assalto contro le logge, puntualmente richiamata da Stefano Bisi sulla scorta di documenti e della “Rivista massonica” diretta da Ulisse Bacci di concerto con Domizio Torrigiani, gran maestro del GOI dal 1919.
Nel gennaio 1925 Mussolini in persona propose alla Camera la legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni, subito nota come “legge contro la Massoneria”. Ebbe il conforto dello storico Giacchino Volpe e di altri “intellettuali”, che sin dal 1912-1913 avevano assecondato l’“Inchiesta sulla massoneria” intrapresa dall’“Idea Nazionale”, portavoce dell’Associazione nazionalistica, accanitamente anti-massonica. Nel 1925 Emilio Bodrero si affrettò a ristamparla con le relazioni svolte alla Camera da lui stesso e al Senato da Adriano De Cupis il 31 ottobre 1925. Le legge fu approvata alla Camera in assenza dei deputati aderenti all’“Aventino”. Alla Camera il comunista Antonio Gramsci spiegò che avrebbe votato “no” perché il massonicidio preludeva all’azzeramento dei partiti di opposizione. Al Senato Benedetto Croce si astenne dal voto, memore che Illuminismo e Risorgimento avevano radici massoniche.
Con il decreto legge 2192 del 1925 il governo rivendicò la prelazione sull’acquisto di Palazzo Giustiniani perché bene monumentale. Il clima era quello descritto nel 1932 da Giuseppe Leti in “Il Supremo Consiglio dei 33∴ per l’Italia e le sue colonie. Appunti di critica storica” (New York, in realtà Parigi), ricordato da Bisi nelle dolenti pagine sulla “notte di San Bartolomeo” scatenata a Firenze contro i massoni, culminata nel feroce linciaggio di Giovanni Becciolini, accorso a difendere il massone Napoleone Bandinelli, iniziato alla “Galileo Galilei” di Firenze (matricola 33.848). Da anni gli squadristi avevano per bersaglio le logge. Lo ricorda “Squadrismo e violenza politica in Toscana”, curato da Roberto Bianchi (ed. Olschki, 1922).
Il colpo finale contro la Massoneria fu orchestrato con l’arresto dell’ingenuo deputato socialista Tito Zaniboni, che, sorvegliato da un clericale informatore del Pnf spacciatosi per suo connivente, si fece cogliere mentre contava di sparare a Mussolini da una camera dell’Hotel Dragoni di Roma. Il generale Luigi Capello, strenuo difensore di Palazzo Giustiniani, fu arrestato, processato e condannato a trent’anni di reclusione quale complice (senza prove convincenti). Torrigiani, rientrato dalla Provenza a Roma per testimoniare a suo favore, venne condannato a cinque anni di confino per un reato che non esisteva: “Massone”.
Quella era l’Italia avviata a divenire regime di partito unico a base di leggi fascistissime: divieto di partiti di opposizione, repressione della libertà di stampa, decadenza dei deputati assenti ai lavori d’Aula, ripristino della pena di morte. Per i massoni iniziò un ventennio lugubre. Ne scrisse Guglielmo Adilardi nella biografia di Giuseppe Meoni, che da gran maestro aggiunto gestì la somma conferita all’Urbs quando venne costretta a vendere allo Stato Palazzo Giustiniani. Un’estorsione, come spiega Stefano Bisi.
Liberazione? Dalla smemoratezza.
Dopo la Liberazione (che fu anche opera dei Fratelli) il GOI ritenne di aver diritto a tornare nella sua sede storica, ma il Senato si oppose. Solo con transazione stragiudiziale tra il ministro delle Finanze Giuseppe Trabucchi e il gran maestro Publio Cortini l’8 agosto 1960 i massoni ebbero in uso, a pesantissimo canone, locali con accesso da via Giustiniani 5. Vi rimasero sino al trasferimento nella eccellente Villa Medici del Vascello, in via San Pancrazio 8. All’accordo si giunse per intervento di James David Zellerbach (1892-1963), di famiglia ebraica, imprenditore e diplomatico prestigioso, ambasciatore degli USA a Roma dal 1957 al 1960. Lo Stato promise al GOI la disponibilità di locali (circa 140 mq, come ricorda Bisi) affacciati su Piazza della Rotonda per allestirvi un museo massonico. Se ne parlò molto a ridosso della Mostra di Torino su “I Massoni nella storia d’Italia” (1980), subito dopo replicata a Villa Medici. Da presidente del Senato l’11 maggio 1988 Giovanni Spadolini promise di mantenere l’impegno: “una piccola parte” di Palazzo Giustiniani “per un piccolo museo che sarà costituito quando saranno composte le strutture”, con tanto di “patrocinio ideale” del Senato.
Da allora, però, nulla è cambiato. Perciò, dopo ripetute vicende giudiziarie, il gran maestro Stefano Bisi preme il piede sull’acceleratore per una soluzione definitiva. Il Grande Risarcimento. Non solo dei Metalli, ma della Memoria.
Ma che cosa mai potrebbe esporre il GOI in un museo della Massoneria? Niente più e niente di meno che la storia d’Italia. Se è vero (come disse il presidente Hollande in un discorso al GOF in rue Cadet) che la storia di Francia è impossibile senza comprendere quella dei massoni, lo stesso vale per quella d’Italia. Nel Settecento le logge italiane furono popolate dal meglio della cultura, ecclesiastici compresi. Carbonari e/o massoni furono protagonisti dei moti liberali del 1817-1831: Federico Confalonieri, Silvio Pellico, Piero Maroncelli. I loro nomi sono scritti nella storia universale della libertà.
In quel museo (e se lo spazio sarà poco ci si potrà valere degli odierni mezzi di comunicazione multimediale) potrebbero esser ricordati anche Vittorio Alfieri, Francesco De Sanctis, Giosue Carducci, Giovanni Pascoli, Salvatore Quasimodo e il lungo elenco di scienziati, artisti, militari, diplomatici, imprenditori e di cittadini senza speciali blasoni e professioni che nelle logge lavorarono alla gloria del Grande Architetto dell’Universo, come monsignor Isidoro Carini che diresse la Biblioteca Vaticana e tanti altri ecclesiastici.
È il mondo rischiarato dal libro del gran maestro Stefano Bisi. A pochi passi dal Pantheon ancora una volta verrà diffuso un messaggio di Fratellanza Universale. Ve ne è bisogno.La restituzione al GOI dei locali promessi da decenni non è una questione di metri quadri ma di Spirito. Ut unum sint…