E’ dedicato “a quelli che sognano di cambiare il mondo, a quelli che l’hanno cambiato, a quelli che ci hanno provato” il libro “Garibaldi ‘El Libertador’” del giornalista e scrittore Federico Guiglia presentato al Vascello il 22 settembre nell’ambito delle celebrazioni della Breccia di Porta Pia e dell’Equinozio d’Autunno. Un evento, organizzato dalla Fondazione Grande Oriente d’Italia, che ha attratto molto pubblico e al quale ha preso parte anche l’ambasciatore di Montevideo presso lo stato italiano Ricardo Javier Varela Fernàndez. Il libro ricostruisce sulla base di autorevoli fonti storiche e documenti la vita in Uruguay di Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882), eroe italiano, ma anche latinoamericano. Uomo di avventura e di azione; personaggio che sapeva perseguire le sue aspirazioni, grandi e fatte di un autentico amore per la libertà e che combatté sempre e ovunque la tirannide in tutte le sue forme. Un visionario, moderno e globale, fuggito dall’Europa, ha raccontato Guiglia, perché pesava su di lui una condanna a morte , e approdato in un luogo che gli ha regalato un altro destino grandioso, una famiglia e una nuova casa. Garibaldi, costretto alla fine del 1835 all’esilio in Brasile, dopo la fallita insurrezione popolare in Piemonte, la latitanza e la successiva condanna da parte dei Savoia alla “pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato”, tra il 1837 e il 1840 partecipó con la sua nave corsara alla rivolta del governo della Repubblica Riograndense (l’attuale Rio Grande do Sul) contro l’Impero del Brasile guidato da Pedro II. E fu proprio a Laguna, nel 1839, che conobbe e s’innamoró della bella Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, passata alla storia con il vezzeggiativo di Anita all’epoca diciottenne, che poi lo seguirà in Italia, partecipando al Risorgimento. In Uruguay si trasferirono nel giugno del 1841, Garibaldi all’inizio s’improvvisó commerciante di cuoio, per poi trovare lavoro in un collegio come insegnante di matematica, geografia e calligrafia. Per tornare alla sua grande passione: il mare. Entró infatti nella marina nazionale con il grado di colonnello, distinguendosi per il coraggio e l’intraprendenza e partecipando alla guerra civile (la cosiddetta Guerra Grande), che vide contrapposte la fazione degli unitarios di Fructuoso Rivera con le divise rosse (i “Colorados”), di tendenza liberale, e la fazione dei federales di Manuel Oribe con le divise bianche (i “Blancos”), appoggiati dal dittatore argentino, Juan Manuel de Rosas. Il ruolo di Garibaldi fu fondamentale, ha spiegato giornalista. Garibaldi difese Montevideo sotto assedio e il 6 febbraio 1846, guidando la Legione Italiana a Salto nella battaglia di San Antonio, salvó l’indipendenza de paese. Le autoritá uruguaiane gli offrirono campi e beni in segno di ringraziamento, che lui rifiutó. E comunque, pur essendo nominato nel 1842 comandante delle Forze Navali della capitale e nel 1848 per qualche mese membro dell’organo legislativo nazionale, come é stato ricostruito da Guiglia sulla base di fonti documentali inedite, continuó ad abitare con Anita e i figli Menotti, Rosita, Teresita e Ricciotti in una casa modesta e senza lumi, nella parte più antica della capitale, la Ciudad Vieja, oggi diventata un museo. Ed è sempre a Montevideo, ha ricordato Guiglia, che Garibaldi s’inventó la camicia rossa della futura spedizione dei Mille. E’ qui che il marinaio che indossava il poncho e portava la barba lunga bionda sposó la sua Anita, fece le prove generali per le guerre d’indipendenza italiane, e fu iniziato alla Massoneria. Sempre dalla parte degli umili, indomito e onesto, puro e generoso, Garibaldi ha lasciato un segno profondo nella storia dell’Uruguay, che quando morí gli rese un omaggio sincero e appassionato. Nonostante fossero passati 30 anni dalla sua partenza da Montevideo, il paese proclamó il lutto nazionale per tre giorni e la popolazione scese in piazza per ricordare “el libertador”, titolo che non é mai stato attribuito a nessuno straniero, ma solo ai grandi eroi latino americani.
Federico Guiglia, editorialista del gruppo Athesis (L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi). scrive anche per Il Messaggero di Roma e é spesso ospite di testate televisive e radiofoniche italiane e internazionali, dalla Rai a RFI -Radio France Internationale-, per commentare fatti di attualità e di politica. Si è formato al Giornale sotto la guida di Indro Montanelli, dal 1999 ha scelto la libera professione. Ha pubblicato numerosi libri.