6 luglio 1849, moriva Goffredo Mameli. La loggia di Roma a lui intitolata gli ha reso omaggio con la deposizione di una corona di fiori…Così nacque il Canto degli italiani

Genova, ottobre 1847. Decine di migliaia di persone scendono in strada per sostenere il Comitato dell’Ordine, che chiede riforme liberali per il Regno di Sardegna. Nel corso di una di queste manifestazioni, organizzata per accogliere Carlo Alberto, riecheggia per la prima volta nella storia un canto destinato poi a diventare il nostro amato inno nazionale: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò. Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”.

L’autore di questi versi, musicati da Michele Novaro, è uno studente ventenne, poeta e fervente repubblicano. Non solo: l’artefice di quei versi solenni e struggenti, che saranno poi cantati da generazioni di milioni di italiani, è presente alle manifestazioni, intento a sventolare un tricolore, pur proibito dal Governo. Quel giovane era Goffredo Mameli! Morirà due anni più tardi, il 6 luglio del 1849, a soli 21 anni. Era ricoverato a Roma, presso l’ospedale Trinità de’ Pellegrini. La sua vita fu stroncata dalle conseguenze di una ferita che si era procurato durante la difesa della Repubblica Romana.

Nel giorno dell’a sua’anniversario della sua morte, come da tradizione, anche quest’anno la Loggia Goffredo Mameli n.169 all’Oriente di Roma, che porta il suo nome dal 1893, gli ha reso omaggio visitando il sepolcro che ne accoglie le spoglie. Nel pomeriggio del 6 luglio una folta rappresentanza dell’antica officina, guidata dal Maestro Venerabile, ha deposto un cuscino tricolore sulla tomba del giovane martire del Risorgimento italiano dedicandogli momenti di profondo raccoglimento.

Mameli riposa dal 1941 sotto la terra del Gianicolo, in una cripta che ricorda i tanti caduti per la causa dell’Italia unita. Inizialmente le sue spoglie erano state collocate a Santa Maria in Monticelli, poi nella Chiesa delle Stimmate e dopo la presa di Porta Pia al Verano, dove venne eretto un monumento a sua memoria, fino alla traslazione nell’Ossario Garibaldino. Ma chi era Goffredo Mameli? Il patriota era nato a Genova, allora Regno di Sardegna, il 5 settembre del 1827, nel sestiere del Molo, al civico 30 di via San Bernardo, da una nobile famiglia di origine sarda, originaria di Lanusei nell’Ogliastra. Il padre Giorgio era ammiraglio e deputato al parlamento.

Il giovane Mameli aveva frequentato le Scuole Pie di Genova e poi il collegio di Carcare, in provincia di Savona, dimostrando fin da subito una grande sensibilità e un grande talento letterario, e cimentandosi in composizioni d’ispirazione romantica, come: Il giovine crociato, L’amore, Il sogno della vergine, La vergine e l’amante. Già dalla prima adolescenza fu conquistato dagli ideali patriottici. Nel settembre del 1846, in occasione della ricorrenza del centenario della cacciata da Genova degli austriaci, marciò in testa ai manifestanti sventolando il tricolore.

È in questo periodo che inizia a scrivere poesie politiche e canti militari, tra cui Ai fratelli Bandiera, Dante e l’Italia e, più tardi, Dio e il popolo, che tanto piacque a Giosuè Carducci. Nel 1847, non ancora ventenne, compose il Canto degli italiani, che venne musicato da Michele Novaro. Nel marzo 1848 fu tra gli organizzatori di una spedizione di trecento volontari per andare in aiuto a Nino Bixio durante le Cinque giornate di Milano e, in seguito a questa impresa, venne arruolato nell’esercito di Giuseppe Garibaldi con il grado di capitano. Tornato a Genova, per protesta pubblicò l’Inno militare, che aveva scritto su invito di Giuseppe Mazzini e che fu musicato da Giuseppe Verdi e divenne direttore del giornale Il Diario del Popolo. Partì per Roma dopo l’uccisione di Pellegrino Rossi nel novembre di quello stesso anno e la fuga di Pio IX. Aderì al comitato romano dell’associazione sorta per promuovere la convocazione di una costituente nazionale, secondo i dettami politici di Mazzini.

Nel gennaio del 1849, all’interno della Giunta Provvisoria di Governo, Mameli si occupò soprattutto dell’organizzazione militare. Il 9 febbraio, avvenuta la proclamazione della Repubblica Romana, il giovane poeta inviò a Mazzini il famoso dispaccio: “Roma! Repubblica! Venite!”. In quel fatale giorno del 3 giugno 1849, in cui ebbe inizio l’assedio finale di Roma, Garibaldi fu pronto al combattimento solo verso le 5 del mattino, quando i francesi, grazie all’effetto sorpresa e alla debolezza dei presidi romani esterni alle mura della città avevano già conquistato le ville più importanti costringendo i romani a ripiegare a Villa del Vascello. La prima intenzione del Generale, che aveva collocato le proprie forze presso piazza San Pietro, era stata quella di minacciare il fianco sinistro del nemico, per costringerlo ad abbandonare la posizione di porta Cavalleggeri, per poi capire che era troppo facilmente difendibile e trasferire i suoi uomini a porta San Pancrazio, dove consapevole dell’importanza di Villa Corsini ne organizzò l’attacco. Su questa vicenda esiste un resoconto dettagliato e avvincente di Gustav von Hoffstetter nella sua “Storia della repubblica di
Roma del 1849, Torino, 1855”. Pagine intense in cui il militare e diarista svizzero racconta del ferimento tra gli altri, di Nino Bixio. Fu durante quel combattimento che rimase ferito anche il giovane Mameli, durante un ultimo, disperato attacco per conquistare Villa Corsini. Nel corso della giornata Garibaldi aveva avuto a disposizione circa 6000 uomini, tra l’altro mai schierati tutti insieme.

Sul fronte opposto combattevano ben 16 mila soldati, ben schierati e muniti di sovrabbondante
artiglieria. A sera, dopo 16 ore di combattimenti, le posizioni sul Gianicolo erano divise tra i francesi, che si fortificavano a Doria Pamphilj e a Villa Corsini, e i patrioti, attestati quasi esclusivamente al Vascello, ultima posizione prima delle mura di Roma. I difensori avevano perso almeno 700 uomini, 500 tra morti e feriti per la Legione Italiana di Garibaldi e 200 fra i bersaglieri di Manara. La Repubblica Roma, proclamata il 9 febbraio del 1949 e caduta il 4 luglio successivo, fu comunque uno straordinario laboratorio di idee e di modernità. E la sua Carta fondamentale, che rimase in vigore per un solo giorno, quello della sua approvazione avvenuta durante la tregua del 3 luglio, fu un modello di riferimento per i padri costituenti, chiamati a scrivere nel 1946 la Costituzione della Repubblica italiana appena nata.

Ma torniamo a Mameli: il giovane poeta risorgimentale, l’autore del Canto degli Italiani, diventato il nostro inno nazionale, si era battuto eroicamente contro i soldati borbonici nella battaglia di Palestrina (9 maggio) e in quella di Velletri (19 maggio), distinguendosi nella difesa di Villa del Vascello sul colle del Gianicolo, ma il 3 giugno durante l’ultimo assalto a Villa Corsini, occupata dai francesi, venne raggiunto da una fucilata alla gamba sinistra. La ferita non sembrò grave, ma con il passare dei giorni subentrò la cancrena, che gli costò l’amputazione dell’arto inferiore. Ma era già troppo tardi. Goffredo Mameli si è spento il 9 luglio, non aveva ancora compiuto 22 anni. Il ricordo del suo sacrificio, però, insieme ai suoi versi immortali, motivo di orgoglio e fierezza, vivono ancora nella memoria degli italiani e, soprattutto, nel cuore dei Fratelli della Rispettabile Loggia Goffredo Mameli n.169 all’Oriente di Roma. (Contributo della Loggia Goffredo Mameli n.169 all’Oriente di Roma)



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