Omaggio del Grande Oriente d’Italia il 10 novembre nel bicentenario della morte a Giovanni Battista Belzoni (1778- 1823), l’archeologo e massone dalla vita avventurosissima, che scoprì la tomba del faraone Seti I, l’ingresso della piramide di Chefren e del tempio di Ramses II ad Abu Simbel, e che ispirò la figura di Indiana Jones (interpretata da Harrison Ford) a Georges Lucas per quattro indimenticabili film diretti da Steven Spielberg e una serie tv.
All’incontro che si é tenuto al Museo Eremitani, sala Romanino, ha preso parte il Gran Maestro Stefano Bisi. Ha portato i saluti istituzionali Andrea Colasio, assessore alla Cultura. Ha introdotto Francesca Veronesi dei musei civici della cittá. Sono intervenuti Lucio Bonafede del Collegio dei Maestri Venerabili del Veneto Euganeo e Lucio Marcolongo, archeologo del Cnr.
Belzoni era stato iniziato a Londra, dove abitava al numero 4 (oggi 5) di Downing Street, la strada della casa dei premier britannici. Porta il suo nome uno stupendo gioiello conservato nel museo di Freemason’s Hall a Londra che indossò nel Capitolo dell’Arco Reale di Saint James.
Figlio di un barbiere, Belzoni era nato nell’antico borgo popolare di Portello, oggi diventato grazie a lui meta turistica, come la Sala Egizia dei Musei Civici, la cui collezione fu iniziata proprio con i primi reperti che donò alla città. Altissimo, dal fisico imponente, tanto che molti lo chiamavano il “gigante”, circa due metri, dotato di una forza erculea, curioso e desideroso di scoprire il mondo, nel 1815 mentre era a Malta per esibirsi grazie alla sua stazza in spettacoli circensi di successo, incontrò un emissario del pascià Mehmet Ali, che governava l’Egitto per conto dell’Impero ottomano, e decise così di trasferirsi nel paese africano, per esercitare la sua vera professione, quella di ingegnere idraulico (aveva compiuto i suoi studi in questo settore a Roma) partecipando alla realizzazioni di importanti progetti. Ma qui la sua vita prese un altro corso, Belzoni si innamorò dell’antica civiltà egizia e cominciò una serie di tre fondamentali missioni archeologiche, nel corso delle quali scoprì un gran numero di preziosi reperti che oggi arricchiscono le maggiori collezioni europee, a partire da quella del British Museum di Londra. Il suo diario di viaggio, riccamente illustrato, fu tradotto in italiano, francese e tedesco. Gli fu fatale il ritorno in Africa nel 1823, dove dal Marocco pensava di attraversare il deserto per arrivare a Timbuctù. Raggiunse Fez per incontrare il sovrano, che gli diede il permesso di attraversare i suoi territori ed una scorta. Ma quando intraprese il viaggio si rese conto dell’eccessiva ostilità delle popolazioni indigene e tornò indietro. Decise allora di raggiungere Timbuctù dal sud, navigando da Gibilterra fino alla costa equatoriale del golfo del Benin, per poi recarsi via terra nella capitale dell’antico regno del Benin, l’odierna Benin City in Nigeria e chiedere al re locale sovrano i permessi e un’imbarcazione per risalire il fiume Niger. Ma, poco dopo essere sbarcato si ammalò e morì nel porto fluviale di Gwato (Ughoton, Nigeria), circa 40 km prima di Benin City. Venne sepolto ai piedi di un albero alla periferia della città.