Si parte da tanti centri per costruire strada e uscita, la verità non è mai possesso. Ogni cammino soffoca fin quando non giunge all’Aperto, il patire deve essere attivo. Nel filo rosso che cuce pensiero e immagine, Giordano Bruno traccia la strada
“Le strade del labirinto sono intricate ma insistono sulle stesse domande. Ognuno ha la sua porta, se la supera -e per tutti c’è una via d’uscita dal labirinto- trovera’ l’aperto che è a tutti comune”. Massimo Cacciari parla così all’Adnkronos del suo nuovo libro, ‘Labirinto filosofico’ (Adelphi edizioni, pp. 350, euro 38). ”Il labirinto di cui parlo non è mai il caos”, spiega il filosofo, perché il dedalo “ha un ordine: parte da tanti centri e permette a ciascuno di costruirsi non solo la strada ma anche l’uscita. Il ‘comune’ di questi diversi percorsi è l’aperto, quel ‘quid’ cui si tende senza riuscire a definirlo, perché la verità non è un possesso”. Anzi, rovesciando il celebre assioma di Wittgenstein, Cacciari afferma: “Di tutto ciò che non credi e sei certo che non è vero, è meglio tacere”. Queste pagine di filosofia mostrano “il labirinto che ha molti centri e stanno tutti nello stesso luogo: quello della interrogazione filosofica. Costituiscono – spiega ancora Cacciari – un intreccio di vie che si corrispondono, si distaccano o tornano a incrociarsi. E’ il luogo della domanda di sempre: che cos’è l’ente e perché l’ente e non il niente? Attorno a questo tema – avverte il pensatore ‘Dell’Inizio’- la metafisica classica ha ancora tantissimo da dire, al di là degli equivoci” e di pozzi di ermeneutiche penultime che vanno prosciugati. ”Anche la riflessione contemporanea sta in questo labirinto -indica l’ex sindaco di Venezia- ma le domande fondamentali rimangono quelle. E su esse insite la filosofia, quando non diventa saggiamo”.
Il filo per uscire dal labirinto? “Ognuno si fa la sua uscita – rimarca il filosofo- nel labirinto comunichiamo e ci informiamo, ma per trovare la nostra uscita, che è sempre personale, come la morte. Il pensiero filosofico è questo grande appello alla responsabilità: il labirinto guida alla tua porta, e questa conduce all’aperto. La filosofia non ha una sua ‘Beatrice’, non ha a che vedere con verità rivelate: è ricerca umana e di pensiero profondo, umanità che cerca”.
Scrive il filosofo di Venezia: “Le vie del labirinto sono ‘palintrope’, riavvolgentisi su se stesse, e spesso per avanzare ritornano sui propri passi. E tuttavia costituiscono un luogo: tutte scaturite da quell’originaria energia che dal ‘centro’ proviene, e tutte aliene dal disporsi secondo ordini cronologici. Tutte, in qualche modo, contemporanee. Il loro svolgersi sta nel labirinto comune. Ogni cammino tuttavia ‘soffoca’ fino a quando non giunga all’Aperto, che nessun cammino assicura, e l’Aperto ‘im-mediato’, e tuttavia trovato dopo tutto il cammino, e carico di esso, non può essere risoluzione, non può essere Verità che si possiede. Il cammino non è tale se non intende ‘ri-uscire’ dal labirinto”. Ma il cammino non è semplice: “Il pathos della Verità – rimarca il pensatore de ‘L’angelo necessario’ – significa, ora, un patirne l’assenza. Ma si tratta di un patire attivo, poiché esige sperimentazione, critica, itinerario congetturale ‘in Veritatem’. Ogni operazione compiuta sul linguaggio, ogni ‘verità’ così definita, batte la fronte contro il limite di logica e mondo, ma attinge il proprio senso soltanto a questo punto, a questo orlo estremo del suo cammino. E di nuovo Nietzsche può affermare: tutte le verità sono per me verità sanguinanti”.
Da scoprire c’è sempre un ‘logos-horismos’, ovvero una parola-orizzonte, e lo ‘Xynòn’, il Comune. Terreno di possibilità nella magia di abitare una relazione: ”Alla salda casa dell’essente viene iniziato il ‘kouros’ anche accompagnano le figlie del Sole, dopo aver lasciato le dimore della Notte. E’ Dike, la giustizia, che, disserrandogli la poderosa porta che lo separava dalla Dea, lo dischiude all’aperto”. Il “solido cuore” di una verità riposa dentro e oltre un labirinto di segni, perché ‘Aletheia’ e’ manifestazione di un interno ‘confliggere’ che morde la carne e fa restare sulla soglia. Il segno resta aperto all’interpretazione e ogni essente può valere come ‘segno’. Occorre porsi in viaggio di senso, dopo aver bevuto il ‘kratèr’, la coppa della mescolanza, danzando sulle strade della differenza che salva l’umano, aprendolo alla sete dell’altro da sé.
Nell’analisi di Cacciari, passa anche il legame tra pensiero e immagine. Qui, spiega il filosofo, ”è Giordano Bruno il punto di riferimento imprescindibile, perché rovescia l’immagine della storia della filosofia sostenendo che tutto è centro. Il pensiero è al centro, come l’Uomo”. L’eretico bruciato vivo in Campo dei Fiori, rimarca l’ex sindaco di Venezia, ”rimane l’insostituibile pietra di paragone di ogni riflessione autenticamente filosofica intorno al problema del ‘pensare per immagini”, perché “le emblematiche immagini bruniane, il fiume di geroglifici” che trabocca dalla pagine degli ‘Eroici furori’ non possono essere intese come semplice rappresentazione di idee. “Quale sorda cecità – scrive Cacciari – può interpretare quel ‘vampo del sole’ che ‘gli animanti’ son ‘nati per vedere’, come mera e letteraria trasposizione del concetto di perfetta ‘actuositas’ dell’essente?”. L’icona bruniana, la Ruota della Memoria, ha efficacia ed energia sua propria, perché “l’immagine non è ancilla della parola scritta. Piuttosto -sottolinea il pensatore di Venezia- sono le parole a descrivere l’originaria potenza dell’immagine, degli ‘schemata’ disegnati da Dio all’inizio, e che informano di sé ogni realtà”. Così ‘la via’ indicata dal Nolano ”non è il canto del cigno dell’alma Venus lucreziana; essa potrebbe piuttosto essere letta come ‘primo vestigio’ di una scienza critico-ironica per la quale l’ignoto non è lo sterminato campo del non ancora conosciuto, bensì il limite ontologico che ogni definizione incontra”.
Nel ‘Labirinto filosofico’, Cacciari mostra dunque come alla radice dei diversi discorsi sulla ‘fine della filosofia’ che caratterizzano il pensiero dell’Occidente stia la ‘sentenza’ hegeliana: la filosofia cessi di chiamarsi ‘amante’ e si faccia, finalmente, ‘puro sapere’. Sophia significa Scienza. Amore e Sapere debbono prendere congedo. È questo il destino? O ancora vi è ciò che non possiamo esprimere, rappresentare e indicare se non amandolo? Il discorso filosofico porta in sé la traccia di questa tensione. Da qui si dipartono i diversi cammini della filosofia: diversi eppure tutti insistenti sul ‘luogo’ del labirinto che formano con il loro stesso procedere, in una sorta di ‘inimicizia fraterna’. Un labirinto il cui centro è origine, dagli imprevedibili, infiniti esiti. Quando l’anima sia giunta a bere ‘tutti i forti vini della saggezza’, rimane il ‘thauma’, meraviglia e sgomento: che l’ente e’, e che nessun discorso puo’ in se’, nei suoi limiti, risolverlo. Un ‘thauma’ che apre, ma che apre ferendo.