C’è un filo storico che lega la cittadina di Filadelfia, in Calabria, con l’omonima Philadelphia che si trova in Pennsylvania, negli Stati Uniti d’America. E’ comune il nome, innanzitutto. Il termine Filadelfia deriva dal greco “amore fraterno”. Il paesino calabrese tuttavia non si è sempre chiamato così. Fino al 1783 quell’agglomerato che sorge nell’entroterra dell’odierna provincia di Vibo Valentia si chiamava Castelmonardo. Poi un terribile sisma rase al suolo le case, rimasero uccisi 60 cittadini e i danni vennero quantificati in “duecento ducati”. La situazione era disperata. Subito accorse in aiuto il vescovo Andrea Giovanni Serrao, originario di Filadelfia e plasmato nelle sue idee nella fiorente Napoli. E’ stato un personaggio particolarmente illuminato, morto decapitato per mano delle truppe di Santa Fè a causa delle sue idee repubblicane. Fu lui a proporre che il nuovo agglomerato venisse chiamato Filadelfia, “affinché gli abitanti si ricordassero sempre della loro origine greca e rammentassero e imitassero le virtù dei loro antenati e soprattutto si amassero come fratelli ed amici, non solo tra di loro, ma nutrissero lo stesso sentimento per tutti gli uomini”.
La seconda affinità con la Philadelphia americana è lampante se si osservano le mappe urbanistiche. Sono praticamente identiche. La Filadelfia calabrese venne ricostruita copiando lo stesso schema di quella americana disegnata da William Penn un secolo prima. Quella concezione urbanistica voleva due grandi arterie che, incrociandosi, creavano quattro quadranti. La disposizione della popolazione all’interno di essi variava a seconda del ceto sociale. La forma della città diventava così a croce greca. Ancora oggi, sulle mattonelle della piazza principale di Filadelfia c’è il disegno della mappa urbanistica. Esiste un altro aspetto molto dibattuto che riguarda ancora il legame esistente tra la Calabria e l’America di quel tempo. Si pensa che a offrire un importante contributo per la ricostruzione furono i massoni americani. Che il vincolo della fratellanza fosse forte a Filadelfia lo dimostra lo stemma che venne coniato alla sua ricostruzione: due mani che si stringono. Una di esse è guantata, evidente allusione alla massoneria. Nel ‘700-‘800 esisteva una loggia massonica nella cittadina del vibonese, della quale non sono rimasti riferimenti diretti ma che i testi storici ritengono fosse dedicata al filosofo Giordano Bruno.
Inoltre, in occasione dei festeggiamenti del centenario della fondazione di Filadelfia, nel 1883, alla fine di una delle arterie che tagliano in due il centro abitato venne scoperta la Crocella, un monumento di evidentissimo significato massonico, ovvero un globo con un serpente attorcigliato a simboleggiare la conoscenza sul mondo. Non sembra un caso, ancora, che a Filadelfia giunse il figlio di Giuseppe Garibaldi, Ricciotti, anche lui come il padre ai massimi vertici del Grande Oriente d’Italia. Il 6 maggio 1870, l’erede dell’eroe dei due mondi si trovò a capo di una rivolta che partì da Curinga per proclamare la repubblica, ma l’iniziativa venne sopita dall’esercito regio entro pochi giorni. Personaggio di estremo interesse nella storia di Filadelfia è stato il vescovo Andrea Giovanni Serrao. Non vi sono notizie certe sulla sua appartenenza alla massoneria ma di certo frequentò parecchi massoni. Era molto amico di Gaetano Filangieri, anche lui forgiatosi nella fucina di idee partenopea. E’ di quest’ultimo lo scritto “La scienza della legislazione”, un trattato folgorante per Benjamin Franklin che iniziò con lo studioso italiano una corrispondenza epistolare specialmente durante il suo soggiorno a Parigi. Filangieri, massone come lo statista americano, ipotizzò la felicità dei popoli, principio che venne poi adottato nella stesura della Costituzione americana. Altro fraterno amico del vescovo Serrao fu l’abate Jerocades, espulso durante gli anni della sua formazione per scritti satirici e grande diffusore, nella sua vita, della dottrina massonica.