Si chiama Alfredo Pitta, libero muratore, che fece parte del Grande Oriente d’Italia fino a quando il fascismo non chiuse le logge nel 1925, il traduttore dall’inglese all’italiano di “Assassinio sull’Oriente Express”, tra i più famosi romanzi gialli di Agatha Christie e tra i più grandi successi cinematografici e televisivi di tutti i tempi. La scorsa settimana, trasmesso in prima serata da Rai 1, l’ultimo remake per il grande schermo, con una parata di star capitanata da Johnny Depp e nulla da invidiare al film degli anni ’70, che ha registrato un record di 6 milioni di telespettatori.
Il capolavoro della scrittrice inglese giunse ai lettori italiani nel 1936 grazie a Pitta che lavorava per la Mondadori. Romanziere e anglista, era nato a Lucera, in Capitanata, nel 1875 (si è spento nel 1952 a Roma). Recentemente è stato ridato alle stampe uno dei suoi 33 romanzi, Santajusta, di grande qualità letteraria, interamente ambientata nella sua città natale tra il 1267 e il 1269. Il protagonista è una sorta di Robin Hood, difensore dei deboli e degli oppressi e paladino delle libertà, che vive nella clandestinità, ma è capace di grandi passioni, personifica il bene comune e raduna il suo popolo di ribelli, all’ombra di una quercia spostandosi di castello in castello attraverso il tavoliere.
Pitta non tradusse solo “Assassinio sull’ Orient Express” ma decine di romanzi inglesi e francesi, tra cui Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz, diventato al cinema un colossal notissimo negli anni `50. Fra i più celebri scrittori che fece conoscere e amare agli italiani Arthur Conan Doyle, Ellery Queen, Edgard Wallace, Alexander Dumas e Joseph Conrad.