Equinozio di Autunno – XX Settembre 2009

Equinozio di Autunno – XX Settembre 2009

Non cemento ma Pensiero e Confronto
Salviamo il 150° dell’Unità d’Italia
Allocuzione del Gran Maestro Gustavo Raffi

Non avremmo mai pensato che il 150° dell’Unità nazionale potesse finire, nel nostro Paese, al centro di polemiche e politiche tanto sconcertanti. Nel 1911, il Cinquantesimo dell’indipendenza fu salutato da esposizioni memorabili che culminarono a Roma nella consacrazione del Vittoriano. Nel 1961, l’Italia del boom, allora in piena espansione economica, dopo le Olimpiadi di Roma confermava i valori fondanti della coesistenza unitaria, ponendo la lingua italiana e la formazione dei giovani al centro del riscatto di tante famiglie appena uscite dalla miseria.
E oggi? Dovremmo tornare ai dialetti, ai vessilli regionali, alla celebrazione dei Borbone o degli Asburgo? E da questa negazione del vincolo unitario che cosa dovremmo aspettarci? Pare lontano un nuovo Rinascimento, o un nuovo Medioevo comunale. Crediamo che una classe dirigente complessivamente incapace di dar vita ad un autentico programma pedagogico di educazione nazionale, in grado di restituire dignità e orgoglio a noi tutti e a nostri figli, possa difficilmente dar prova di quella capacità di visione, d’immaginazione creativa, di cui l’Italia ha una disperata necessità per uscire dal cono d’ombra di un declino annunciato e apparentemente ineluttabile. Abbiamo bisogno di futuro, come le donne e gli uomini del Risorgimento. Più che il concetto di Unità è l’identità italiana a essere oggi in crisi onda. Una riflessione profonda e vera, seguita da una prassi coerente, aiuterà a decodificare cosa significhi, che cosa possa significare, oggi l’Italia, e l’essere Italiani. Il 150° dell’Unità a questo deve servire: non alla facile retorica o a celebrazioni dal sapore un po’ stantio, ma alla riflessione comune per progettare quello che dovremo essere. Tutti insieme.
Il compito è ancora una volta cercare il senso delle cose. La memoria è identità, racconta storie e vissuti che possono fare ancora strada, se si tende l’orecchio alla lezione delle battaglie portate a sera. Il tempo della celebrazione non può essere sterile esercizio di parole senza carne bensì la comunità vista dall’esilio dei valori smarriti. Ci sono tensioni e ideali che vanno riscoperti e stanno alla base della nostra identità. Questo significa vedere le sfide del nostro tempo non smarrendo il percorso dei padri, significa assumere le lotte dell’oggi portando in bisaccia le conquiste di coloro che ci hanno preceduto. Deve essere il tempo della priorità della cultura contro i virgolettati urlanti della politica, il pensiero capace di costruire destino contro lo squallore dei gossip e il potere dei metalli. Il tempo delle coscienze contro le apparenze senza volto. Identità contro decadenza morale, formazione civile rispetto a strampalate idee di secessione. La nazione è la comunità più vasta nella quale si integrano gli aspetti spirituali, morali e materiali di un popolo. Gli elementi che la costituiscono sono la tradizione storica, la memoria, la lingua, il comune sentire, il far parte di un unico destino. Ernst Renan diceva che la nazione è un “plabiscito” di tutti i giorni. Occorrono progetti e identità per non cadere nelle trappole del pensiero unico e dell’omologazione.
L’Unità d’Italia non è un’anticaglia sentimentale, è tessuta nel corpo della Nazione. E la Nazione è un organismo vivente le cui parti vanno armonizzate, esplorando ogni possibilità di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Sapendo bene che la libertà e la tolleranza sono i due pilastri che moralmente reggono l’Occidente, ma amando le differenze senza rinunciare alla propria specificità. Peter Singer ha scritto in One World. L’etica della globalizzazione (Einaudi) che “bisogna cambiare l’idea di comunità: chi vive in Afghanistan è ora importante almeno quanto il tuo vicino di casa”. Nella Terra di Mezzo tra i nostri sogni e la realtà, Unità d’Italia significa oggi guardare coraggiosamente ai grandi temi, primo fra tutti quello dell’immigrazione, alle frontiere fra i popoli.

Come ha scritto Remo Bodei sul ‘Sole 24 Ore’ di domenica 13 settembre “per gli esili di gruppo basti ricordare il commovente incontro del giovane Mazzini con gli esuli in partenza dal porto di Genova dopo i falliti moti carbonari del 1821. A quelli della mia generazione veniva sottolineata a scuola la profonda impressione che gli fece la vista del giovane alto e barbuto che dignitosamente chiedeva la carità per i proscritti”. La storia può ripetersi, assumere colore di pelle diversa, ma è sempre storia di uomini e ricerca di libertà. Storie che attendono e meritano risposte, non chiacchiere vane.
Lo storico Ernesto Galli della Loggia parlando dei festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia, sull’editoriale del ‘Corriere della Sera’ di lunedì 20 luglio, constatava come si sia persa l’identità nazionale: “Il modo in cui il Paese si appresta a celebrare nel 2011 il 150?anniversario della sua Unità indica alla perfezione quale sia l’immagine che la classe politica tutta, di destra e di sinistra, senza eccezioni (nonché, temo, anche la maggioranza dell’opinione pubblica) ha ormai dell’Italia in quanto Stato nazionale e della sua storia. Un’immagine a brandelli e di fatto inesistente: dal momento che ormai inesistente sembra essere qualsiasi idea dell’Italia stessa. E non sa farlo, per una ragione altrettanto evidente: perché in realtà essa per prima non sa che cosa significhi, che cosa possa significare, oggi l’Italia, e l’essere Italiani. Quella classe politica fa di conseguenza la sola cosa che sa fare e che la società italiana in fondo le chiede: distribuire dei soldi. A pioggia, senza alcun criterio ideale o pratico, in modo da soddisfare le esigenze effettive, i sogni, le ubbie dei mille localismi, dei mille luoghi e interessi particolari in cui ormai sempre più consiste il Paese”.
Più che il concetto di Unità è l’identità italiana a essere in crisi profonda. Vittorio Feltri, alla sua maniera, ha scritto: “il motivo è tristemente semplice: la maggioranza degli italiani lo considera una iattura da non festeggiare. Tutti hanno leggiucchiato qualcosa del Risorgimento sui libri di scuola, ma pochissimi ne rammentano il significato e ne apprezzano le finalità”.
E Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Comitato dei Garanti, ha affermato che più che i soldi “manca il cuore, l’animus.” delle celebrazioni e continua: “basterebbero poche iniziative coerenti, nelle quali gli italiani siano in grado di riconoscere la propria storia di popolo. Tali da dar luogo a momenti unitari e non convenzionali di ricordo e di festa”. L’avvicinarsi del 150° anniversario della creazione dello Stato italiano (17 marzo 1861-17 marzo 2011) esige allora una riflessione che consenta di formulare sull’evento una riflessione politica e umana del nostro essere Paese oggi. Essere conservatori, insegnava Arthur Moeller van der Bruck, “significa creare cose che valgono la pena di essere conservate”. Occorrerà rispolverare da qualche vecchia libreria la forza di quel principio di nazionalità, teorizzato da Pasquale Stanislao Mancini come il nuovo “diritto delle genti”, un’idea considerata dalle cancellerie europee un principio rivoluzionario, in grado di sconvolgere la carta politica dell’Europa. E al tempo stesso la forza dell’unità di territori, culture e storie di contro alla restaurazione di Stati privi di forza propria, anacronistica sopravvivenza del legittimismo postnapoleonico. Accadde così che un napoletano dell’antico regno e un piemontese del regno subalpino “si fecero italiani non rinnegando il loro essere anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere”, come scrisse Benedetto Croce profetizzando un tempo in cui “francesi e tedeschi e italiani” si sarebbero innalzati a europei e i loro pensieri si sarebbero innalzati all’Europa e i loro cuori avrebbero battuto per lei “come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate”.

Il Cuore di Edmondo de Amicis rimane vivo, come ha rimarcato Luciano Tamburini. L’Unità d’Italia non è questione di piazze e targhe. La toponomastica a volte tocca nervi scoperti. Lutti non elaborati, memorie che si vorrebbe consegnare all’oblìo. L’accento strategico deve spostarsi dagli assetti infrastrutturali, con tanto di finanziamento dedicato, alla cultura come idea-forza, con lo spessore di una realtà in grado di dare ragione dell’unità nelle differenze, all’unità come ethos e cultura. L’Italia come l’identità di una persona che si scopre ricca di elementi identitari, mentre ri-corda, cioè richiama al cuore, ciò che ha dovuto inscrivere e ciò che ha faticato ad inscrivere nella sua storia ma alla fine lo ha fatto. E’ il rispetto per la storia di tutti, dei piemontesi e dei ‘briganti’ del Sud, uomini il cui ruolo va valorizzato anche nei manuali di una storia che racconta come sempre solo i vincitori. Sogniamo un programma di eventi che non ignori questioni ancora aperte dell’Unità d’Italia, come la questione meridionale. Ma sollecitiamo come forza attiva della società anche altri ‘passi simbolici’. Niente cemento per celebrare l’Italia: non serve qualche colata di calce o nuovi monumenti fini a se stessi, quanto invece recuperare pensieri e simboli che valgono ancora oggi. Il Risorgimento non è stato solo un’epopea dello stato sabaudo. E’ stato soprattutto la capacità di cogliere il momento per far passare un programma, una certa idea di unità dell’Italia. Una certa visione del mondo e della storia.
Basta, dunque, con un Risorgimento marmoreo, piuttosto si valorizzi il suo spirito profondo, le sue regole di libertà, fondate sulla ragione e sulla laicità della convivenza civile. I valori di quel messaggio risorgimentale possono costituire l’antidoto più efficace contro la disgregazione civile: quella verso l’alto, in direzione di un globalismo massificante e quella verso il basso, in direzione di un particolarismo asfittico e urlante, interessato solo al proprio cortile. Allo stesso modo, è falso richiamarsi alla lezione di libertà civile del Risorgimento e poi trascurare nei fatti il sostegno alla ricerca, che è la pietra angolare della conoscenza o peggio assumendo atteggiamenti oscurantisti e pseudoclericali nel settore della bioetica abbandonando la strada maestra, quella di affidarsi alla responsabilità del ricercatore in sede scientifica e al controllo del dibattito civile in sede pubblica.
Guardiamo al Risorgimento, come a una riforma morale della Nazione, un suo vero ed effettivo Rinascimento, come voleva il De Sanctis. Gli uomini del Risorgimento si sentirono sì italiani, ma nel contempo europei, pensando già con Mazzini a federazioni continentali, impegnandosi a “europeizzare” la cultura, partecipando in prima persona, come fecero tanti garibaldini, alle insurrezioni nazionali in Polonia, Ungheria e nei Balcani, sentendo comune la causa della libertà dei popoli, sollecitando il dialogo intellettuale con le altre nazioni, percependo l’Italia non al di sopra, bensì parte integrante del resto d’Europa, intesa come una comunità solidale.
La Massoneria, erede degli ideali risorgimentali, illuministici e rivoluzionari, intende contribuire con rinnovata energia alla costruzione del senso nazionale e lancia ponti di dialogo con altre istituzioni e con la società di cui è parte. Abbiamo ancora davanti a sé le strade della speranza possibile: insegnare la tolleranza, la laicità, l’emancipazione, il progresso, la rigenerazione, la giustizia. Dal Risorgimento alla modernità, le grandi sorgenti massoniche hanno ancora molta acqua da dare alla coscienza dei popoli. Ecco perché chiedersi come celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia significa per noi chiedersi come ricominciare a sentirci più italiani e più europei.
Soprattutto come essere più uomini liberi. Le identità chiamano a nuove sintesi. Senza dimenticare, però, che a volte perché tutto rinasca c’è bisogno che tutto ritorni.

Roma, Villa Il Vascello, 19 settembre 2009


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