VI Conferenza Mondiale delle Gran Logge Massoniche
Nuova Delhi, 7-8 novembre 2002
Alcune riflessioni sul Grande Architetto dell’Universo
Nel seguente intervento vorrei affrontare un tema che potrebbe forse sembrare alquanto strano, se non addirittura provocatorio. Vorrei infatti riflettere con voi sull’idea – senza dubbio gravida di conseguenze e di implicazioni straordinarie – del Grande Architetto dell’Universo; un’idea che costituisce di per se stessa la pietra miliare della Massoneria regolare. Tale argomento potrebbe allora apparire – come ho già dichiarato – provocatorio sia da un punto di vista “interno” sia “esterno”. Da una parte, al di fuori del circuito massonico, dove molte persone, ignorando sia i principi, i contenuti nei nostri Landmarks e sia le categorie ispiratrici della nostra tradizione muratoria, talora ritengono che la Massoneria sia un tempio dell’ateismo, oppure semplicemente immaginano che il mondo massonico debba essere statutariamente estraneo ad ogni speculazione di ordine filosofico. D’altro canto, il tema da me proposto corre il rischio di “suonare strano” anche all’interno, dove qualcuno, molto piccato, potrebbe affermare che un tale argomento costituisca di per sé una violazione proprio dei nostri Landmarks.
Al contrario ritengo che al centro dell’universo, così com’è di fatto il Tempio massonico, noi abbiamo facoltà di trattare di qualsiasi argomento, alla precisa condizione che si sappia come discuterne; ovvero nei giusti limiti dell’opportunità simbolicamente evocata nello spazio racchiuso tra squadra e compasso. Al contrario, sarebbe abbastanza curioso se proprio il principio divino dell’operato massonico fosse un tema automaticamente vietato o da considerarsi tabù. Quindi, Fratelli venerabili, chiedo scusa all’uditorio se il mio contributo, a parte la provocazione iniziale, risulterà alquanto prudente, giacché il mio intento non è quello di convincere tutti, ma innanzitutto, nel solco di una tradizione di tolleranza e rispetto, di non offendere nessuno.
La Massoneria pensa Dio? Può farlo? E come?
Il fatto assodato che le Massonerie regolari abbiano messo il Grande Architetto dell’Universo al centro dei loro lavori è già di per sé una risposta positiva alla prima domanda, anche se essa implica un numero consistente di conseguenze interessanti e stimolanti. Infatti, se la ritualità della tradizione muratoria ha per gran parte tratto le proprie origini storiche da un retroterra cristiano, le vicende culturali e filosofiche emerse soprattutto durante il secolo dei Lumi sono venute senza dubbio a focalizzare posizioni e orientamenti contrastanti, che per un verso hanno rafforzato una certa tradizione cristiana (come nel caso paradossalmente estremo della tradizione scandinava, dove Ebrei, Musulmani ecc. non hanno un accesso agevole all’istituzione massonica), per l’altro hanno coagulato una volontà di forte apertura interreligiosa e multiculturale. E’ proprio in tale contesto, ben evidenziato nell’esperienza anglosassone, che altre Comunioni massoniche, sotto la volta arcuata del Grande Architetto dell’Universo, hanno aperto via via le porte dei Templi ai fedeli di altre confessioni, non necessariamente di matrice giudaico-cristiana, come Hindu, Zoroastriani, Buddhisti, Scintoisti, Sikhs, ecc. Alcune di queste Massonerie, si sono talora orientate, almeno in certi momenti, seguendo orientamenti di tipo latitudinario o deistico, anche se mai la Massoneria si è espressamente pronunciata su una definizione teologalmente “forte” e allo stesso tempo “rigida” o “esclusiva” dell’Ente supremo in chiave razionalistica. Al contrario, ancora oggi, non è inusuale il fatto che, se qualcuno facesse solo una vaga professione di deismo verrebbe immediatamente tacciato di essere “massone”, anche qualora ciò non fosse affatto vero. Come abbiamo già sottolineato, non si può affermare che la Massoneria sia statutariamente deistica o apertamente incline al deismo; tale orientamento costituisce una opzione individuale, come altre, ma non vincola l’impianto generale del pensiero latomistico. Un caso a parte, storicamente più legato all’area francese, riguarda inoltre tutte quelle Massonerie che, in un particolare momento della loro tradizione, hanno invece deciso di disfarsi del cosiddetto “Libro sacro” ed hanno assunto un atteggiamento che non sarebbe corretto definire “ateo” o “agnostico”, ma semplicemente “indifferente” alla questione della trascendenza, e che lascia piena libertà alle singole Logge di operare con o senza il riferimento al Grande Architetto dell’Universo, come se si trattasse di un’opzione possibile, ma non necessitante, così come invece noi reputiamo. Proprio per tale ragione noi consideriamo tali Massonerie “irregolari”.
Non è comunque mia intenzione riproporre in questa sede una riflessione di carattere prettamente storico su tali diversi percorsi, ma affrontare, soprattutto alla luce del patrimonio espresso dal Grande Oriente d’Italia, alcune riflessioni generali di comune interesse.
La Massoneria non è una religione; per questa ragione noi non abbiamo un “Dio massonico” né una “teologia massonica”. Il Grande Architetto dell’Universo rimane solo un concetto generale ed universale che la Massoneria non può né deve determinare, perché di per sé inesprimibile e indefinibile nel contesto di un’istituzione che si pone come luogo di incontro di diversità. Questa entità divina e suprema rappresenta pertanto un concetto centrale che deve essere interpretato direttamente da ciascun Fratello, secondo la propria libera coscienza e la sua fede. Un Dio Massonico sarebbe di converso una completa assurdità, poiché ciò imporrebbe di fatto una dottrina religiosa a tutti i membri della Comunione massonica distruggendo le differenti e individuali opinioni religiose, teologiche e filosofiche dei singoli Fratelli. In questo modo la Massoneria si trasformerebbe in una riproduzione di una setta minoritaria, con l’abbandono del suo profondo forte retroterra interculturale e della sua intrinseca tolleranza. Per quanto sarebbe antistorico immaginare che la Massoneria delle origini fosse così “moderna” da porsi come luogo di incontro per tutti gli uomini di “buoni costumi”, come invece avverrà solo più tardi, indifferentemente rispetto ad ogni possibile differenza di razza e religione, essa, sin dai primordi, produsse comunque un notevole impatto sul processo di modernizzazione del mondo verso forti ideali di mutuo rispetto e tolleranza religiosa. L’esempio della Massoneria indiana, dove genti di tradizioni religiose diverse hanno operato e operano insieme senza pregiudizi etno-religiosi, è un esempio calzante di quel che voglio significare. Mi sembra altresì opportuno puntualizzare ai molti Fratelli che vivono in paesi dove forse i pregiudizi antimassonici sono di poco conto, che è necessario comprendere come questo “nostro” senso di fratellanza, tale da aprire la Massoneria a Cattolici, Protestanti ed Ebrei, per esempio nella Toscana nelle prime decadi del XVIII secolo, provocasse pesanti reazioni da parte della Chiesa Cattolica. In un periodo di intolleranza politica e di dispotismo, quando ogni forma di assembramento, se non sotto il controllo della polizia, era assolutamente interdetto, il nostro modo di lavorare, relativamente interclassista per l’epoca, tollerante, meta- e interreligioso e soprattutto esoterico, scevro da preclusione dogmatica alcuna, fu di fatto considerato come un evento intrinsecamente pericoloso per la sicurezza dello stato; ovviamente ciò secondo il punto di vista di uno “stato di polizia”. Queste ragioni ora non corrispondono più alla realtà e noi stiamo operando affinché si sfati questa falsa immagine concernente la nostra istituzione nella profonda speranza che gli sforzi presenti possano meglio essere compresi al di fuori.
Ma adesso, sul cammino della fratellanza universale, che cosa è divenuto il Grande Architetto dell’Universo? Un comodo contenitore vuoto, opportunisticamente rimasto come un vecchio marchio di garanzia della derivazione regolare? Oppure esso ha un senso, di carattere se non altro filosofico-cosmologico, al quale riferirsi ed al quale ricondurre una serie di principi cardinali?
Noi potremmo dire che il Grande Architetto dell’Universo andrebbe innanzitutto definito come “l’ordine del discorso”; la sua accettazione fa sì che i Massoni assumano l’esistenza di un principio comune e universale, inteso come bene, verità e ragione, al quale far riferimento e dal quale trarre le coordinate per l’agire singolo e comune.
In altre parole, il Grande Architetto dell’Universo è la logica, la ratio a priori grazie alla quale si fonda la ricerca della verità; quindi un principio di ratio ma anche di philia universale, che pone nel “bene” e nella sua ricerca il fine dell’umanità e in particolare quello della stessa Massoneria. Per queste ragioni, in quanto tale, il Grande Architetto dell’Universo non viene però eccessivamente qualificato né può esserlo, non per mero amore di relativismo, ma solo perché ciò significherebbe entrare nel merito di una serie di teologoumena che provocherebbero solo separazione e contrasti nel suo seno e sui quali la Massoneria non intende imporre una verità unica, ritenendo tale scopo estraneo alla “sua” ragione di esistere, ma altresì incoraggiando i singoli Liberi Muratori alla ricerca di tale verità. La Massoneria, infatti, resta una comunione di “spiriti liberi” alla ricerca di una verità ultima. Ma tale completa verità non si trova nelle nostre mani, né – crediamo – in quelle di ogni altra Massoneria. Se ciò non fosse vero, la Massoneria dovrebbe già da tempo aver finito la costruzione del Tempio e, di conseguenza, avendo terminata l’opera e pagati gli operai, si dovrebbe sciogliere. Ma vorrei essere più preciso su questo aspetto che potrebbe apparire poco chiaro.
E’ chiaro che, preso individualmente, ogni Massone ha le sue intime convinzioni, anche religiose, né egli deve affatto abbandonarle.
La disciplina iniziatica non gli apre una via corruttrice delle sue credenze precedenti; al contrario, essa gli offre solo la possibilità di apprendere di più grazie alle mutue differenze ed all’umana complessità che egli troverà in Loggia, esattamente come il Fratello Kipling rammentava in una sua famosa poesia dedicata proprio alla sua Loggia indiana. Così noi speriamo che ciascuno di noi sia capace di offrire un contributo originale alla costruzione finale del Tempio, che è una metafora per la costruzione del Tempio interiore. Attraverso questa esperienza noi ci auguriamo che ciascuno faccia del suo meglio per rendere migliore anche il mondo profano intorno a sé.
Questa comunione di esseri imperfetti, operanti per un reciproco perfezionamento, ma non per la distruzione delle loro reciproche differenze, rappresenta un capolavoro nella storia dell’Umanità. Le diversità ivi presenti sono, infatti, una ricchezza, anche in campi come la teologia e la religione, perché stimolano riflessione e comprensione. Ovviamente i Massoni sanno che non possono affrontare direttamente quegli argomenti teologici e religiosi in modo da provocare lacerazioni e rompere l’armonia della Loggia. Essi però sono anche spinti, attraverso il lavoro di Loggia, ad apprendere i modi, i tempi e le forme relativi a come parlare anche di argomenti alti e difficili, resi ancor più ardui dal fatto che su tali temi si deve mirare ad offrire uno stimolo costruttivo e non acuire separazioni o scontri.
Quindi ogni Massone è spinto anche a pensare Dio, inteso liberamente secondo le sue proprie convinzioni, ma anche come “principio” che incombe su tutti i membri della comunione e che è accettato da tutti loro. Inoltre egli è altresì stimolato a conoscere e rispettare i modi e le differenze con cui gli altri Fratelli pensano e venerano tale Dio. Per questa ragione, se una buona cultura di base non è necessariamente un requisito essenziale per il Massone, la sua presenza risulta di notevole aiuto, poiché rafforza le capacità di comprendere e destreggiarsi tra tutte queste differenze.
La Massoneria non può peraltro essere né conformista né unilaterale. Al contrario, una comunione latomistica che divenga il Tempio vivente, dove eventualmente Cattolici, Protestanti, Ebrei, Musulmani, Zoroastriani, Buddhisti, Deisti e altri ancora, possano fraternamente illuminarsi nella ricerca della verità, e quindi anche e soprattutto nella ricerca di Dio, necessita di un continuo addestramento, morale ed intellettuale, giacché ogni parola in un tale consesso deve cadere come un accordo armonico e non come un elemento di separazione e incomprensione.
Il mio discorso potrebbe però generare un dubbio. Se la Massoneria cerca la verità, coloro che già appartengono ad una fede che si considera depositaria della verità, quale vantaggio trarrebbero mai da questa esperienza, anche e soprattutto nel loro cammino di conoscenza del divino? Non cadono essi forse in contraddizione, accettando un’esperienza che presuppone il dubbio e la ricerca, avendo già una fede e quindi anche una risposta? Il quesito è due volte grave, non essendo affatto teorico, ma sollevato da alcune Chiese.
Io penso che l’individuale convinzione di possedere una verità religiosa non esima l’uomo dal porsi altre domande e da una continua ricerca, né alcuno spirito religioso potrebbe considerarsi così divinamente ispirato da non sentire il bisogno di un dialogo profondo con i suoi Fratelli, soprattutto quelli da lui diversi. La Libera Muratoria offre quindi un’opportunità ad ogni persona che voglia camminare su di una strada difficile, dove il suo spirito possa essere stimolato alla tolleranza, alla conoscenza ed al rispetto. Grazie alla ritualità e all’esperienza esoterica il Massone sarà spinto a ripensare e rimeditare molti problemi centrali nell’umana esistenza; gli sarà più volte richiesto di rispondere a certi interrogativi con le sue idee e non secondo un credo stabilito dalla Massoneria, ma verrà anche indotto a operare con gli altri Fratelli, molti dei quali diversi da lui per fedi e tradizioni. Per questa ragione è chiaro che una tale strada non è per tutti, in particolare per quegli uomini che non siano interessati al dialogo con altre identità, altre culture, altre religioni.
Sotto la volta del Tempio, noi uniamo le nostre imperfezioni per migliorarci; se non siamo pronti ad ascoltare gli altri, a riflettere sulle vere differenze, come potremo essere al centro dell’Universo? Il particolare tipo di sociabilità proposto dalla Massoneria rappresenta oggi un forte strumento nel processo di globalizzazione del mondo, dove i problemi appaiono enormi e la violenza e l’antagonismo molto forti.
Per queste ragioni il ruolo della Massoneria torna ad essere significativo, poiché la nostra istituzione potrebbe aiutare l’umanità sulla strada dei processi di integrazione e di pace. In presenza di una forte decadenza dei più importanti valori etici e morali nell’ambito delle società occidentali, basate sulle più crude leggi del profitto e del potere, noi costituiamo la sola istituzione non religiosa che spinga gli uomini a meditare su tali principi ed in particolare sull’idea di Dio, anche se nell’immagine del Grande Architetto dell’Universo.
Molte pseudo-religioni hanno fatto la loro comparsa nel panorama attuale; esse in genere offrono a poco prezzo tutte le risposte necessarie: nessun interrogativo, niente tolleranza, ma solo un kit completo di nozioni minime basate sull’ignoranza, anche se perfettamente valide per ridurre un essere umano ad una persona stupida e acritica. La Massoneria, al contrario, aiuta gli uomini ad elaborare una coscienza indipendente ed un pensiero autonomo attraverso il potenziamento di ogni tratto positivo contenuto anche nelle loro religioni e non contro di esse.
Non si creda peraltro che, nel nuovo contesto post-moderno, la Massoneria sia uno strumento della scienza contro le fedi. La scienza non conferma né esclude Dio e le religioni; né le religioni possono imbrigliare i risultati della conoscenza scientifica. E qui non intendo riferirmi alle problematiche della bioetica e alle polemiche più volte apertesi intorno a temi scottanti come la fecondazione artificiale o simili, ma dei grandi interrogativi che la fisica e la cosmologia moderne hanno aperto, e di fronte ai quali anche le fedi religiose si devono di fatto interrogare. Alcuni intellettuali, come il fisico anglicano, John Polkinghorne (in particolare nella sua recente monografia Credere in Dio nell’età della scienza, Milano 2000), hanno, in modo molto aperto e stimolante, proposto una serie di riflessioni per nulla aprioristiche o teologalmente chiuse al riguardo delle grandi questioni dell’astrofisica e dell’origine del creato.
L’universo è forse eterno e indipendente dal tempo (come presupponeva la “cosmologia dello stato stazionario”, oggi molto in crisi dopo la scoperta della radiazione cosmica di fondo), oppure è già apparso pienamente strutturato o ancora è il prodotto di una singolarità, che ne ha generato l’espansione? Non si deve dimenticare peraltro l’ipotesi, alquanto dubbia, ma pur sempre formulata con argomenti circostanziati, che l’universo potrebbe anche essere il frutto di un’emergenza temporanea, manifestatasi da un complesso diverso e sostanzialmente disordinato. La stessa Chiesa Cattolica viene, attraverso alcuni dei suoi fisici di punta, a riflettere sulla possibilità di vita su altri mondi nel cosmo in espansione: ammissione che avrebbe, forse, salvato Giordano Bruno, ma che suppongo abbia messo in forte imbarazzo non pochi teologi più tradizionalisti o anche semplici intellettuali cristiani i quali, secondo un’ottica ancora di impianto medievale, volessero ancora sostenere che la centralità dell’umanità terrestre debba essere ritenuta l’unica, attraverso l’incarnazione del Cristo, a poter dare senso compiuto alla creazione.
L’idea di un Big Bang, che peraltro non dispiacque affatto anche a Pio XII poiché vi vedeva una giustificazione al creazionismo, è altresì oggetto di ampia e circostanziata discussione, giacché tale singolarità non appare più, almeno secondo alcuni fisici, come il momento primo della creazione (si pensi alla teoria delle superstringhe o a quella dell’istantone), né d’altra parte l’idea che il tutto si concluda con un Big Crunch, risulta oggi così sicura, e ciò almeno da quando si è scoperto che l’universo, anziché decelerare, è al contrario in continua accelerazione. Tale fatto sembra implicare non solo che l’universo sarebbe infinito e piatto (ossia governato dalla geometria euclidea) ma addirittura che esso disporrebbe di massa insufficiente per produrre un collassamento delle galassie in fuga verso i suoi confini.
Esiste allora un’equazione di Dio? Un linguaggio simbolico e astratto, che la logica dei fenomeni interpretati dai fisici, dai matematici e dagli astronomi ha elaborato e che ci impone una nuova riflessione, spesso interreligiosa sul volto e sul ruolo di Dio?
Il fatto che l’uomo sia in grado di elaborare un linguaggio a sua volta capace di interpretare, anche se solo in parte, la meccanica celeste e la fisica delle particelle, lascia forse supporre l’esistenza di una ratio fondante? Certamente, a seconda dei modelli fisici che la scienza andrà elaborando, anche la filosofia e la religione – le religioni tutte – saranno continuamente provocate e stimolate a porsi degli interrogativi ed a riflettere a voce alta con meno pregiudizi.