Nei primi anni del XXI secolo Amitav Ghosh lavorava alla stesura de “Il paese delle maree”, il romanzo che si svolge nelle Sun-darban, l’immenso arcipelago di isole che si stende fra il mare e le pianure del Bengala. Occupandosi della grande foresta di mangrovie che le ricopre, Ghosh scoprì che i mutamenti geologici che ciclicamente vi avvenivano – un argine poteva sparire nell’arco di una notte, trascinando con sé case e persone – stavano diventando qualcos’altro: un cambiamento irreversibile, il segno di un inarrestabile ritrarsi delle linee costiere e di una continua infiltrazione di acque saline su terre coltivate. Che un’intera area sotto il livello del mare come le Sundarban possa essere letteralmente cancellata dalla faccia della terra non è cosa da poco. Mostra che l’impatto accelerato del surriscaldamento globale è giunto ormai a minacciare l’esistenza stessa di numerose zone costiere della terra.
La domanda, per Ghosh, nacque perciò spontanea. Come reagisce la cultura e, in modo particolare, la letteratura dinanzi a questo stato di cose? La risposta è contenuta in questo libro dal titolo “La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile” (Neri Pozza) in cui l’autore della trilogia della «Ibis» ritorna con efficacia alla scrittura saggistica.. La cultura è, per Ghosh, strettamente connessa con il mondo della produzione di merci. Ne induce i desideri, producendo l’immaginario che l’accompagna. Una veloce decappottabile – un prodotto per eccellenza dell’economia basata sui combustibili fossili – non ci attrae perché ne conosciamo minuziosamente la tecnologia, ma perché evoca l’immagine di una strada che guizza in un paesaggio incontaminato; pensiamo alla libertà e al vento nei capelli.
Questa cultura, così intimamente legata alla storia del capitalismo, è stata capace di raccontare guerre e numerose crisi, ma rivela una singolare, irriducibile resistenza ad affrontare il cambiamento climatico. Quando il tema del cambiamento climatico appare, infatti, in una qualche pubblicazione, si tratta quasi sempre di saggistica. La rara e fugace comparsa di questo argomento in narrativa è sufficiente a relegare un romanzo o un racconto nel campo della fantascienza. Che cosa è in gioco in questa resistenza? Un fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica? Un occultamento della realtà nell’arte e nella letteratura contemporanee tale che «questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità»?
Una società globale autoreferenziale, governata da una tecnologia disumanizzante e dal profitto come valore universale, non può che andare verso l’autodistruzione. Basteranno a fermare tutto ciò gli anticorpi della Cultura, della Bellezza, della Natura?