Il Gran Maestro Gustavo Raffi: investire nella formazione dei giovani è una priorità assoluta
L’Italia ha perso il primato della grande bellezza. Parchi archeologici, borghi, musei, chiese, ville, giardini, castelli, archivi, biblioteche sono uno straordinario capitale che non riusciamo a sottrarre al degrado e a valorizzare, né a trasformare in un fattore di sviluppo sociale ed economico. Il Grande Oriente d’Italia in occasione della Gran Loggia di Rimini a questo tema ha dedicato un ampio dibattito dal titolo “Arte e cultura: petrolio d’Italia” al quale hanno partecipato Domenico Arcuri ( Ceo di Invitalia), Alessandro Bianchi (Urbanista Università Mediterranea di Reggio Calabria), Pietro Folena (presidente MetaMorfosi), Claudio Bonvecchio (Università degli Studi dell’Insubria). Moderatore, il giornalista e volto noto della tv Alessandro Cecchi Paone . E’ intervenuto anche il Gran Maestro Gustavo Raffi, che ha invitato i partecipanti, tutti esperti del settore, a trovare delle soluzioni al più presto a questo “insopportabile decadimento del paese al quale stiamo assistendo”. Un imbarbarimento, dovuto ai ritardi e alle farragini della nostra burocrazia, “alla miopia della politica che non ha ancora capito che è un errore fatale tagliare fondi alla cultura e alla scuola”. “Investire nella formazione dei giovani -ha detto Raffi è una priorità assoluta, è così che un paese si gioca il suo destino. Il senso della cittadinanza, della polis, i valori della democrazia, il rispetto per ciò che ci circonda, la capacità di apprezzare il bello si apprendono tra i banchi. Ed è questo quello cha manca ora all’Italia. Dai dipartimenti dei Beni Culturali degli atenei del nostro paese escono giovani esperti destinati alla disoccupazione: è su di loro che si dovrebbe investire per rivoluzionare il modo di gestire, che sicuramente ora non funziona, la sterminata quantità di gioielli di arte e storia che l’Italia possiede”, ha aggiunto il Gran Maestro.
Cecchi Paone (Divulgatore scientifico), abbiamo perso il primato della bellezza
“Dobbiamo prendere esempio da quei Paesi che ci hanno strappato il primato: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Spagna. Noi possediamo 49 siti dichiarati patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, il più alto numero al mondo, 3.400 musei, 2.100 aree e parchi archeologici, siamo il primo paese nei desideri degli stranieri, ma il core business dell’industria turistica che misura il rendimento del nostro patrimonio culturale è stato nel 2013 di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale. Una percentuale bassissima da quel 20% che il settore promette”, ha premesso Cecchi Paone aprendo il dibattito.
Folena (MetaMorfosi), per ogni euro investiti in cultura se ne generano 21
Per Pietro Folena, che ha scelto di lasciare la politica per dedicarsi alla cultura e che oggi è alla guida di MetaMorfosi, un’associazione che in pochi anni è diventata protagonista di importanti attività di valorizzazione e di sostegno a istituzioni culturali, “la cultura che è petrolio che non inquina è una risorsa economica che ha bisogno di un modello” e per la quale bisognerebbe “chiamare le imprese alla mobilitazione, attivare realtà giovanili, con start up” per tutta la filiera dei beni culturali: restauro, conservazione, fruizione, “mettere insomma in moto la scintilla”. “Negli ultimi 20 – ha sottolineato – purtroppo non abbiamo fatto altro che accumulare nel settore una serie di record di dati negativi. In Italia – ha aggiunto Folena – il pil della cultura è valutato 40 miliardi di euro contro un miliardo e ottocentomila di spesa. Il che significa che per ogni euro pubblico investito se ne generano più di 21. In Francia, dove il Pil cultura è di 74 miliardi, si spendono 8 miliardi e mezzo: cioè per ogni euro pubblico se ne generano circa 9, meno della metà rispetto all’Italia. Cosa che vale anche in Germania e in Gran Bretagna, mentre in Spagna il moltiplicatore di spesa è di 5 euro. Ventuno – ha sottolineato Folena – è un numero al quale si deve fare riferimento, è il moltiplicatore della cultura ed è il più alto che altrove. Ed è per questo che non bisognerebbe penalizzarlo con tagli. Certo, si tratta di cifre, che vanno sostenute da azioni in grado di moltiplicare le imprese e di generare indotto. Ma in che modo? Come ho già detto – ha aggiunto Folena – finanziando le start up, ma anche valorizzando i diritti di immagine, di merchandising culturale, in accordo con le industrie manifatturiere. Come nel nostro caso. MetaMorfosi è infatti licenziataria dei diritti di Michelangelo”.
Bianchi (urbanista e presidente di Cultura e Innovazione), battiamoci per il diritto alla cultura
“La crescente domanda di cultura che si registra quasi ovunque nel mondo ha come contraltare la scarsa considerazione che ad essa viene riservata nel nostro Paese, a dispetto del fatto che una gran parte del patrimonio culturale è concentrata al suo interno, è figlia della sua storia”. Lo ha sottolineato Bianchi sottolineando la necessità “di aprire la strada di una richiesta sociale di diritto alla cultura, non diversamente da come circa quaranta anni fa è stata posta una pressante richiesta di diritto all’ambiente, di cui registriamo oggi le positive ricadute sulla qualità dei nostri spazi di vita”. “E’ ormai uno stanco rituale – ha aggiunto l’urbanista- quello di ripetere che in Italia non destiniamo sufficienti risorse per la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Si tratta di un’affermazione del tutto vera, dimostrata dagli impietosi confronti con i Paesi europei a noi più vicini. Ma il nocciolo della questione – ha spiegato- sta a monte di questo dato di fatto, sta nella incapacità della nostra classe politica di capire l’importanza e la portata della cultura per la vita dell’intera società.
E’ questo il nodo da affrontare: rompere la barriera dell’ignoranza e affermare la consapevolezza della cultura come uno dei più importanti motori di sviluppo per il nostro Paese”. Poi Bianchi ha fatto riferimento a Roma, il cui centro storico, ha detto, “è uno dei luoghi nei quali il patrimonio culturale mostra una delle sue punte più alte. Lì si possono toccare con mano le tracce depositate da una cultura plurimillenaria, che insieme tra loro hanno creato uno scenario di straordinaria bellezza e intensità. Parliamo del quadrante urbano che va dal Colle Oppio, al Colosseo, ai Fori, al Campidoglio, al Circo Massimo, all’Aventino, al Palatino fino a congiungersi con l’Appia Antica, di cui occorre ricostituire l’unitarietà e l’identità, liberandolo dal suo peggior nemico, il traffico, e andando ben al di là delle finte pedonalizzazioni.
Con questo intento – ha annunciato – l’Associazione Progetto Roma ha lanciato una “call for ideas”, una sorta di appello rivolto a tutti quanti nel mondo – archeologi, filosofi, urbanisti, antropologi, architetti, filologi, letterati – hanno in mente un’idea, un progetto, una suggestione per questo straordinario scenario urbano”.
Arcuri (Ceo di Invitalia), non è vero che l’Italia è il Belpaese. Lo era
“Non è vero che l’Italia è il Belpaese. Lo era. Non dobbiamo avere di noi un’immagine distorta”. E’ l’invito a guardare in faccia alla realtà senza retorica lanciato da Domenico Arcuri, Ceo di Invitalia, candidato alla presidenza di Finmeccanica. “Nel 1950 – ha ricordato il manager – l’Italia era il primo paese al mondo nell’attrarre visitatori stranieri: il 19%. Una percentuale che è scesa al 16% nel 1960 fino ad arrivare al 4,8% nel 2013. In sintesi, tra il 1960 e il 2013 abbiamo perso tre turisti su quattro”, ha spiegato Arcuri osservando che il declino è curiosamente cominciato dopo la nascita nel 1985 del Ministero dei Beni Culturali. “Oggi – ha sottolineato- arrivano in Italia 48 milioni di turisti, meno che negli Stati Uniti, Francia, Spagna, Cina. Solo il 15% si reca a sud di Roma, dove pure esistono siti dell’Unesco”. Secondo i calcoli effettuati, ha riferito Arcuri, l’industria turistica italiana “fa un dodicesimo di quello che potrebbe fare se si approssimasse alla media del pil della cultura degli altri paesi del mondo”. “Avere dunque ereditato un patrimonio culturale -ha detto- non ci rende né più ricchi né più colti. E questo perché non siamo capaci di fare sistema in alcun modo, neanche in condominio. Per fare sistema non basta il pubblico. La componente pubblica in questo settore deve fare un passo avanti per ridurre la propria portata e un passo indietro per lasciare spazio ad altri soggetti, come il mondo del non-profit e dell’associazionismo”. Proseguendo Arcuri, ha comunque tenuto a ricordare che non mancano esempi in positivo affermando che “i 105 milioni di fondi europei il nuovo soprintendente non li può spendere semplicemente perché non ci sono progetti, manca, insomma, chi li fa e c’è una scadenza”. Nonostante le eccellenze nel settore esistono. E Arcuri ha citato il caso di Matera, dove il 6% del pil della provincia è prodotto dalla cultura. E ancora il caso di Lecce, Siracusa e Ortigia.
Claudio Bonvecchio (Università degli studi di Insubria), manca una classe dirigente in grado di saper cogliere i cambiamenti
“In Italia manca una classe dirigente in grado di dare risposte e di saper cogliere i cambiamenti. L’Italia non ha un’idea culturale di se stessa, anche se possiede l’80% delle opere d’arte e del patrimonio culturale mondiale. Ed è da questo che discendono molti dei problemi di oggi”, ha detto Bonvecchio, sottolineando l’inadeguatezza del modo in cui il paese ha affrontato i cambiamenti nel corso del tempo, compresi quelli legati al turismo, che è diventato improvvisamente di massa. “Non c’è stato nessun adattamento nessuno sviluppo. E l’imprenditoria del settore spesso non è riuscita a diventare null’altro che imprenditoria di rapina”, ha osservato il filosofo che ha fatto appello alla massoneria a proseguire sulla strada tracciata dal Gran Maestro Gustavo Raffi in questi anni in cui è stato alla guida del Grande Oriente d’Italia , continuando a promuovere la cultura e a imprimere in seno alla collettività quello slancio etico necessario alla sua crescita complessiva”.