Fortemente voluta dal Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, si è svolta sulla Piana di Gerace una toccante e condivisa cerimonia con la deposizione di una corona d’alloro, per ricordare il 170° Anniversario della condanna a morte dei Cinque Martiri, caduti sotto il piombo di quaranta moschetti borbonici il 2 ottobre 1847 e gli oltre 220 anni della bandiera nazionale, nata come simbolo della Repubblica Cispadana con i colori verde, bianco e rosso, decretata nella seduta del 7 gennaio 1797.
Per l’occasione il Gran Maestro del G.O.I. Stefano Bisi, il I° Gran Sorvegliante Antonio Seminario, unitamente ai massimi esponenti della massoneria calabrese e una folta delegazione di sindaci e cittadini della Locride si sono ritrovati nella splendida Gerace per celebrare un avvenimento e ricordare ai posteri il sacrificio di: Rocco Verduci (Caraffa del Bianco – 1° agosto 1824); Domenico Salvadori (Bianco – 24 dicembre 1822); Pietro Mazzoni (Roccella – 21 febbraio 1819); Gaetano Ruffo (Bovalino – 15 novembre 1822) e Michele Bello (Ardore – 5 dicembre 1822).
E dinanzi al monumento dedicato ai Cinque Martiri, il Gran Maestro ha inteso ricordare ai presenti la restituzione al G.O.I. degli 800 faldoni fatti sequestrare nel 1992 dal Procuratore di Palmi Agostino Cordova nel corso dell’inchiesta sulla Massoneria e sui presunti intrecci con la criminalità organizzata avviata con grande fragore e poi conclusasi col nulla di fatto, archiviata dal gip Augusta Iannini che ha fatto risaltare il tutto mancante di “notizie di reato”.
Già a Rimini, nell’allocuzione tenuta alla Gran Loggia, Stefano Bisi ha affermato che “Il mondo della massoneria, è lontano anni luce dall’oscurità e dalla mala vita organizzata, al contrario di quello che certe anime candide pensano di far passare nell’opinione pubblica. Uomini e donne che pensano di fare dell’Antimafia il loro emblema, il loro hashtag nella carriera politica e che forse dovrebbero interessarsi maggiormente dei veri problemi dei cittadini e non fare della caccia all’untore o alle streghe come accadeva nel medioevo”. “Il libero muratore non tremola, non ha paura dei tanti beceri, rancorosi lupi che abbaiano alla luna e vogliono far credere una realtà che è ben diversa, totalmente diversa”.
Ha rammentato pure le oltre quattordici ore di perquisizione nella sede del Vascello da parte dello SCICO della Guardia di Finanza dicendosi vicino ai fratelli della Calabria e della Sicilia con riconoscenza e grande apprezzamento. “Lo dico forte e chiaro – ha ribadito ancora una volta – la massomafia vadano a cercarla altrove. Questo infame e mortale germe non abita tra noi. L’ho detto a Don Luigi Ciotti quando mi ha telefonato per chiarire la sua frase sbagliata pronunciata a Locri sulla Massoneria”.
E dinanzi al monumento dedicato ai Cinque Martiri, abbiamo conversato con il G. M. Bisi e il 1° Gran Sorvegliante Antonio Seminario e prima ancora con una troupe della RAI venuta a Gerace con l’intento di rintracciare eventuali rapporti “massoneria-‘ndrangheta”.
“La nostra è una libera associazione – sostiene il G. M. Stefano Bisi – che non è segreta e neppure riservata. Non è segreta perché sono note le sue finalità, sono noti i suoi dirigenti e non è neppure riservata perché sui nostri portoni ci sono le scritte e la denominazione Grande Oriente d’Italia. Certo, siamo un’associazione che quando si riuniscono i propri iscritti chiudono la porta come fa qualsiasi altra associazione o movimento quando le riunioni sono riservate ai propri appartenenti.
Di rimando viene da chiedersi: come mai nonostante si cerchi di parlare male dell’istituzione muratoria, specialmente i giovani bussano alle porte dei Templi? Come spiega allora questa inversione di tendenza?
“Perché in molti non ci stanno a vivere sul pregiudizio, vogliono conoscere, capire e molti decidono di entrare in contatto con noi. In un anno vi sono stati, attraverso il web, oltre mille richieste di adesione al G.O.I. Non è secondo un clic che ci s’iscrive, perché il percorso è molto lungo e faticoso. Vuol dire che vedono nel G.O.I. una fiamma di libertà, di solidarietà, di laicità. Noi siamo alfieri di libertà e di laicità e molti lo capiscono.
L’esempio di oggi è alquanto indicativo. Una risposta ben precisa che viene dalla società civile. E, poi, i sindaci con la loro presenza hanno rafforzato questi principi di sovranità, di partecipazione, di fratellanza, di giustizia sociale…
I sindaci con la fascia tricolore presenti oggi in massa a questa iniziativa per celebrare i Cinque Martiri di Gerace mi hanno commosso, mi hanno sinceramente commosso perché sono amministratori che vivono nel loro territorio a contatto con i cittadini con grandi sacrifici. Sono persone che cercano di fare del bene alle comunità in cui vivono. Bisognerebbe stare più vicino ai sindaci, chi ha la responsabilità politica e istituzionale dovrebbe fare un po’ di più.
Accanto a noi c’è pure il 1° Gran Sorvegliante del G.O.I. Antonio Seminario, calabrese ai massimi vertici del G.O.I. al quale facciamo notare che la massoneria non è un’istituzione con fini segreti, ma è formata da persone che si aprono al mondo che cambia, che propongono idee nuove…
Certamente è così. Qualora ce ne fosse bisogno, continueremo su questa strada. Siamo fiduciosi. Ne sono convinto e oggi la Locride ha dimostrato come in Calabria è possibile fare massoneria e alla luce del sole.
Si può dire, allora, che nella Locride non vi sono infiltrazioni di ‘ndrangheta…
L’ho già escluso in altre occasioni e in altre interviste. Nella Locride non c’è alcuna infiltrazione mafiosa all’interno delle nostre logge. E quelle che sono maldicenze sono state sfatate dalla realtà. Qualche loggia che è stata demolita è dovuta ad altre motivazioni non certo per infiltrazioni mafiose”.
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Ora, sulla Piana di Gerace, accanto alla stele dove furono disposti e fucilati, sorge il Monumento dedicato ai Cinque Martiri, con bassorilievo bronzeo, opera dello scultore Vincenzo Gerace, che riproduce il tragico epilogo “nel momento estremo in cui gli sgherri borbonici con i fucili spianati fanno fuoco recidendo la loro giovanissima esistenza là sullo storico piazzale della chiesa (dei Riformati n.d.r.) mentre dalle salme, quale caduta, e sul punto di cadere, col fatidico grido sulle labbra che nel ‘48 echeggiò trionfante dalla Calabria alle Alpi, sorge terribile il simulacro della Libertà che con le braccia possenti spezza le catene lanciandole nello spazio irraggiato dall’astro amoroso dei destini italici oggi felicemente compiutesi con Vittorio Veneto nella seconda guerra mondiale”.