di Massimo Colaiacomo
Scultore con un forte timbro civile e politico, Ettore Ferrari è stato un protagonista di prima fila nella lot-
ta per l’affermazione della laicità dello Stato all’indomani dell’unità d’Italia. Ne è stato anche un inter-
prete creativo e rigoroso sul piano artistico, autore di busti, statue equestri e bassorilievi, opere per lo più celebrative dei protagonisti del Risorgimento.
Nato a Roma nel 1845, l’amore per l’arte gli fu trasmesso in casa dal padre Filippo, scultore anch’esso. All’Accademia di San Luca, dove entrò nel 1868 per laurearsi nel 1872, sviluppò le abili-
tà tecniche e la raffinatezza della linea, doti che gli vennero poi riconosciute come testimoniano le nume-
rose committenze pubbliche e private. Chi oggi si arrampica sull’A- ventino, può sostare nel piazzale Ugo La Malfa e ammirare la statua imponente di Giuseppe Mazzini, impreziosita alla base dai medaglionidi altri eroi risorgimentali.
Non manca nel gesto scultoreo di Ferra-
ri una certa vena retorica, frutto in parte
dell’intento celebrativo cui
doveva ispirarsi per la sua attività.
Mazzini a Roma, la statua equestre
di Garibaldi a Vicenza o il busto di
Ovidio, a Costanza, erano occasioni
artistiche strettamente connesse al-
la celebrazione del concetto di pa-
tria, della sua unità politica e delle
sue radici nell’antichità romana.
Arte e impegno politico e civile, il
tutto irrobustito dalla forte vena pe-
dagogica maturata negli anni di in-
segnamento all’Istituto superiore
di Belle arti, sono stati sempre in-
trecciati nell’equilibrio mai statico
di una personalità complessa: depu-
tato per tre legislature al parlamen-
to del Regno d’Italia, gran maestro
del Grande Oriente d’Ita-
lia, presidente onorario
della Società operaia di
mutuo soccorso di Lendi-
nara e fondatore dell’Uni-
versità popolare di Mila-
no: capitoli di una militan-
za repubblicana vissuta
senza cedimenti o com-
promessi.
Certo, l’opera dello
scultore scandisce stagio-
ni ben riconoscibili della
sua vita artistica. Così il
monumento a Ovidio, rea-
lizzato nel 1887 e colloca-
to nella città di Costanza in Roma-
nia (dove il poeta abruzzese fu esilia-
to) è un omaggio alla classicità d’im-
pronta canoviana. Ben altro era in-
vece lo stile del monumento eque-
stre a Vittorio Emanuele II, realizza-
to per la città di Venezia, nel 1887,
sulla Riva degli Schiavoni: in esso
tornano a farsi sentire le vibrazioni
della stagione risorgimentale.
Tra tanta alacrità di lavoro, però,
è il monumento a Giordano Bruno,
collocato al centro di Campo de’ Fio-
ri, a Roma, l’evento in cui la fusione
dell’artista con il politico segna il
punto più alto. Il monu-
mento, ufficialmente
inaugurato nel 1889, non
nasconde una vena pole-
mica verso la Chiesa. Sul
volto del filosofo, rivolto
in segno di ammonimen-
to verso la basilica di San
Pietro in Vaticano, semi-
nascosto dal cappuccio
del saio, si legge l’espres-
sione severa dell’uomo
pronto a dare la propria vi-
ta ma non a rinnegare la li-
bertà della ricerca e della
scienza.
La figura di Giordano
Bruno divenne, più di quanto non
fosse già stata nel XIX secolo, il sim-
bolo della massoneria che lottava
contro i dogmi e l’oscurantismo. E
del Grande Oriente d’Italia fu mae-
stro, dal 1904 al 1917, portando la
massoneria su posizioni più radica-
li e anticlericali del suo predecesso-
re (e poi successore) Ernesto Na-
than. Ferrari propugnava battaglie
civili e sociali “da combattere alla lu-
ce del sole”. Battaglie che lui stesso
condusse alla Camera. In un inter-
vento sui regolamenti per le elezio-
ni amministrative di quell’anno, il
13 luglio 1888 Ferrari sposò la causa
del voto alle donne. “… Ed io non po-
trei che ripetere gli argomenti che
sono già stati svolti: mi limito adun-
que — argomentava — a chiedere
che sia accordato il voto ad una pic-
cola categoria di donne, qualora fos-
se negato alla generalità; piccola ca-
tegoria il cui valore e la cui capacità
non possono mettersi in dubbio. (…)
L’accordare il suffragio elettorale al-
la donna non è una concessione: è ri-
conoscere i suoi diritti. Niuno, nè in
questa Camera, nè altrove potrà
mettere in dubbio tale diritto, e tut-
ti comprendiamo che una volta do-
vrà essere sanzionato”.
Il suo intransingentismo morale
sempre a sostegno di un impegno
democratico senza sconti lo mise
sotto i riflettori del regime fascista.
Il suo studio fu messo più volte a
soqquadro dalla polizia del regime.
La repressione toccò il culmine nel
maggio 1929: Ferrari venne incrimi-
nato per aver tentato di riorganizza-
re la massoneria, sciolta dal regime
nel 1926 con altre organizzazioni.
Morì qualche mese dopo. E sepolto
nel Cimitero del Verano.