Roberto Vaccari ha indagato in modo originale e completo la vita e l’opera dell’editore suicida contro le leggi razziali
Ottantuno anni fa, il 29 novembre, Angelo Fortunato Formiggini si buttava dalla Ghirlandina per protestare contro le leggi razziali. «Non un gesto di follia, ma una morte dice Roberto Vaccari, autore di “C’è poco da ridere” (Elis Colombini Editore, pp. 480, euro 25) che viene presentato oggi alle 17 alla Galleria Europa, in piazza Grande pre- parata minuziosamente. Non potendo reagire ad un gigante, come il regime al quale non vuole allinearsi, Formiggini si toglie la vita lasciando tracce di questa premeditazione, con lettere agli ebrei, al duce, alla moglie. In tasca ha del denaro, una cifra importante, perché qualcuno non pensi ad un suicidio dovuto a difficoltà economiche della sua casa editrice. Il suo è un atto contro il regime, il suicidio più famoso del ventennio». Come viene censurata la notizia della sua morte? «Si fa sparire il cadavere e il funerale si svolge al mattino presto. La notizia non viene data. Anzi si esalta l’applicazione delle leggi razziali. Ma la notizia della sua morte riverbera comunque in Italia e in tutto il mondo. Ho trovata tracce in Brasile, Stati Uniti, Svizzera». Tanto si è scritto su Formiggini. Lei come ha voluto guardare la sua figura? «La mia vuole essere una biografia completa, oltre le opere specialistiche. Il mio lavoro è più divulgativo e tratto aspetti trascurati, come la sua appartenenza alla massoneria e la massoneria in città». E cosa ha scoperto? «Per lui la massoneria è stata una tappa importante, perché metteva insieme gli ideali positivisti, risorgimentali, nazionali con la modernità. La mia tesi è che Formiggini sia una cartina di tornasole di tutto il ‘900, con le sue contraddizioni. Gli aspetti di fondo della sua ideologia sono il positivismo, il laicismo, talvolta esasperato, il suo ebraismo e la sua italianità. Il ‘900 ha spaccato la sua personalità in due: seguire l’affermazione del fascismo fino a capire che il fascismo non rappresentava i suoi ideali. Ciò accade già dal 1923, quando viene messa fuori legge la massoneria, allora una delle poche associazioni libere nel Paese». Come avviene la rivalutazione di Formiggini come persona eclettica? «Formiggini è un uomo di grandi passioni. Ho cercato di indagare l’editore, con i suoi interessi molteplici per la scienza, la matematica, le infinite biografie, le collane, come “profili”, “i classici del ridere”, e poi la raccolta di oggetti, la rivista “L’Italia che scrive”. È lui a rivolgersi agli altri editori per un percorso culturale da costruire insieme. Un uomo che non si ferma mai». Ma pure uno spirito allegro, bizzarro, con una vena «Per Formiggini l’uomo deve saper sorridere delle cose che succedono a sé e agli altri. Si laurea in filosofia morale con la tesi “Filosofia del ridere” confrontandosi anche con Croce». Il suo è un riso amaro o umanitario? «Ci sono tutte e due le componenti. Per lui esiste una cultura del ridere più alta che è quella dei classici, ma c’è pure un riso amaro, che deriva dalla considerazione sulla condizione umana: le debolezze, il dover soffrire, morire. E questo in anni in cui “c’e poco da ridere” (che è il titolo del mio libro) per lui, per gli ebrei, e per una generazione di italiani che ha subito la dittatura». Cosa è stata Modena per Formiggini? «La sua coscienza e il suo salvavita. Parla il dialetto correttamente, scrivendo anche versi, ha amici di tutti i ceti, torna a Modena ogni volta che può. Anche per morire. Non avrebbe avuto senso, per lui, suicidarsi a Roma o in un’altra città». ANGELO FORMIGGINI OTTANTUNO ANNI FA IL SUICIDIO CONTRO LE LEGGI RAllIALI FASCISTE «Era un uomo di grandi passioni e interessi. Una cartina di tornasole del senso del ‘900» «Modena era la sua coscienza, il suo salvavita. Ci tornava appena poteva. Anche per morire» ( di Michele Fuoco)