Cento anni fa, esattamente il 13 febbraio del 1923, a pochi mesi dalla marcia su Roma, il Gran Consiglio del fascismo approvava un documento in cui dichiarava l’incompatibilitá della Massoneria con il partito nazionale fascista. Una data che segnó l’inizio in particolare per il Grande Oriente d’Italia di atroci persecuzioni con la devastazione di numerose logge da Nord a Sud dell’Italia. Le prime ad essere prese di mira furono le Case massoniche di Pistoia e Prato. Veri e propri pogrom squadristi, che si andarono intensificando nei due anni successivi con l’assalto alle officine giustinianee di tutt’Italia e persino a Palazzo Giustiniani, sede nazionale del Grande Oriente d’Italia. Una spirale di violenza che raggiunse l’apice a Firenze il 4 ottobre 1925, quando venne ucciso il fratello Giovanni Becciolini.
Una guerra senza quartiere quella dichiarata da Benito Mussolini alla Massoneria, che aveva avuto inizio fin da prima della conquista del potere, addirittura dal congresso di Ancona del 1914 quando il futuro duce si era adoperato alacremente per fare espellere gli iscritti dal Partito Socialista, e che ebbe il suo apice nella legge approvata il 26 novembre 1925, la n. 2029, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 277 del 28 novembre che di fatto mirava a impedire ai massoni l’accesso a cariche pubbliche. Promulgata da re Vittorio Emanuele III, firmata dal capo del governo Benito Mussolini, visto il Guardasigilli Alfredo Rocco, la normativa dal titolo “Regolarizzazione delle attività delle associazioni, enti e istituti e dell’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, dalle provincie, dai comuni e da istituti sottoposti per legge alla tutela dello Stato, delle provincie e dei comuni” restringeva il diritto di associazione, sottoponeva le associazioni al controllo della polizia e adottava misure repressive più severe. Approvata ad ampia maggioranza dai due rami del Parlamento, mise definitivamente al bando la Libera Muratoria, segnando l’inizio della fine di tutte le libertà civili.
Il testo della normativa, elaborato già a partire dal gennaio precedente, era tra le priorità assolute del governo e del partito fascista. La discussione in aula ebbe luogo il 16 maggio del 1925. Relatore della proposta era Emilio Bodrero, tra i più virulenti avversari della Libera Muratoria all’interno del Pnf.
Tra i pochissimi deputati presenti in aula quel giorno, Antonio Gramsci che prese la parola per scagliarsi contro la legge. Fu anche il suo primo e unico intervento in un parlamento ormai completamente fascistizzato. Un’arringa non in difesa dei massoni ma per denunciare con straordinaria luciditá la deriva liberticida in atto.
Ad aprire il dibattito era stato Gioacchino Volpe, che nella sua arringa a sostegno del provvedimento fascista tolse anche ogni dubbio sul riferimento della legge alla Libera Muratoria, alla quale dedicò tutto il suo infuocato intervento, accusandola di “equivoco politico, degenerazione della vita pubblica, confusionismo delle idee, sopravvivenza di illuminismo e di ideologie settecentesche, pacifismo spappolato, internazionalismo, disorganizzazione dello Stato, strumento di stranieri interessi a danno del Paese, vecchio e vacuo anticlericalesimo, e specialmente intrigo e camorra”. Chiusa la discussione, al momento della votazione venne a mancare il numero legale, la seduta fu così aggiornata e la proposta di legge venne approvata il 19 maggio con 289 voti contro 4. Il senato votò a suo favore nella seduta del 22 novembre 1925. Lo stesso giorno, una balaustra del Gran Maestro del Grande Oriente Domizio Torrigiani sciolse tutte le logge aderenti al Grande Oriente d’Italia , ma non il Grande Oriente d’Italia, che continuò la sua opera.