Da relatore di minoranza nell’inchiesta parlamentare non ho mai creduto al programma “sovversivo” della Loggia
Sono passati 40 anni dai giorni in cui vennero scoperte le liste della P2 e i complottomani ripropongono le interpretazioni ideologizzanti di comodo che allora tennero banco, e oggi continuano a sostenere che la “loggia continua”.
Allora da relatore di minoranza nell’inchiesta parlamentare io fui di diverso parere, pur individuando e dando un nome a tutti i gravi fatti di erosione dello Stato di cui furono responsabili gli uomini del vertice piduistico.
Non ho mai creduto al programma “sovversivo” di riforma costituzionale dei piduisti (presidenzialismo, etc.). Le loro proposte erano un assemblaggio di idee circolanti in vari ambienti che fu esibito per accreditare una facciata rispettabile. Certo, nella Guerra Fredda alcuni piduisti nelle forze armate e nei servizi facevano il gioco dell’atlantismo avventurista nel quadro del grande gioco internazionale. Ma la chiave di volta di tutto il gruppo era il potere sotterraneo e il ricatto: non appena si conobbero nomi e carte, tutto svanì.
Le liste P2 indicarono che sotto la politica ufficiale vi era un livello sotterraneo che trattava gli affari illegittimi, spesso per conto dei protagonisti ufficiali. Era l’effetto della democrazia senza ricambio e del continuismo consociativo che includeva non solo le forze allora di maggioranze (dalla DC al PSI…) ma anche settori importanti del partito di opposizione, il PCI. Questa era la mia opinione di parlamentare radicale estraneo ai giochi di potere testimoniata da una ventina di volumi del mio rapporto parlamentare.
Fece sensazione la quantità dei politici, giornalisti, manager dell’economia e finanza, militari e addetti ai servizi presenti nelle liste. Ma il golpe non era l’obiettivo sociale. La loggia aveva al centro il potere, da chiunque fosse esercitato. Gelli e il vertice della P2 avevano interesse a stabilizzare il sistema di potere in cui erano stabilmente inseriti grazie ai ricatti alimentati dalla conoscenza delle operazioni illegittime volte agli affari politici e a quelli personali di denaro e carriera.
Un altro mito è il ruolo attribuito alla massoneria. Quella congrega aveva poco a che fare con la storia della massoneria, se non per il fatto che usava l’etichetta della vecchia loggia d’eccellenza del Grande Oriente d’Italia e molti personaggi importanti erano stati trasferiti da Gelli dalle logge normali al suo elenco “speciale”.
Molti politici di mentalità cattolico-tradizionalista e di vocazione complottistica, come la presidente della commissione d’inchiesta Tina Anselmi, per cultura o per interesse partitico avevano convenienza a demonizzare l’intera massoneria per allontanare le responsabilità dei misfatti dagli uomini dei partiti e dello Stato. Gelli, a mio parere, fu un genio organizzativo del potere e del ricatto in quanto riuscì sotto il suo dominio a collegare, intrecciare e usare i settori nevralgici della vita pubblica.
Teodori fa un’analisi a mio avviso lucidissima, come sempre. Una domanda resta tuttavia senza risposta: Gelli voleva potere (non “il” potere) – su questo sono perfettamente d’accordo – ma per farne che cosa? Niente indica che banalmente inseguisse ricchezza….