Giuseppe Mazzini morì il 10 marzo 1872 a Pisa nella casa della famiglia Nathan Rosselli, oggi dichiarata Monumento Nazionale e trasformata in Istituto Storico nel 2002. Vi giunse in fuga, stanco e malato, dalla Svizzera dove era in esilio, sotto il falso nome di George Brown. E fu qui, che mentre le sue condizioni andavano peggiorando drammaticamente, si riunirono intorno a lui i suoi seguaci arrivati da tutt’Italia, preoccupati di affidare al mito la sua memoria, immortalandone gli ultimi istanti, con un dipinto del pittore macchiaiolo e patriota Silvestro Lega ((Modigliana, 1826 – Firenze, 1895). La tela, messa all’asta da Christie’s nel 1959, fu acquisita successivamente dal Museo della Scuola di Design di Providence, nel Rhode Island (Stati Uniti), dove venne esposta al pubblico per molti anni fino a quando l’Istituto non decise di rimuoverla e conservarla in un deposito, per mancanza di personale, è stata la spiegazione ufficiale, e anche per far posto ad opere considerate di maggiore interesse.
Una scelta legittima, certamente, ma che ci ferisce e non puó lasciare indifferenti, perché suona come uno schiaffo alla nostra storia. Il quadro di Mazzini morente è infatti da sempre simbolo delle radici democratiche e repubblicane del nostro paese. Ed é in questo spirito che la senatrice Cecilia D’Elia del Pd il 19 aprile scorso ha presentato sul caso un’interrogazione al governo chiedendo di riportare la tela in Italia in occasione delle celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini nel 2025. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si è subito mobilitato, incaricando i suoi uffici di verificare la disponibilità del museo americano a prestare temporaneamente il quadro o a venderlo all’Italia, dove c’è chi ha giá proposto di collocarlo in una sala del Senato con accanto la poesia che Giosué Carducci dedicó a Mazzini.
Intanto il 28 settembre la nostra Ambasciata a Washington ha incontrato i rappresentanti della Scuola di Providence, che si sono detti disponibili a inviare l’opera temporaneamente in Italia ma non a venderla. Ma ha ragione chi dice (come Franco Corleone che ne parla su L’espresso del 27 ottobre) che non dovremmo demordere e riprenderci la tela, spiegando che non si tratta di un’operazione retorica, ma delle nostre radici.