La famiglia Cocchi era già presente in Borgo
San Lorenzo (FI) nella prima metà del `500: un
suo avo era il dottor Giovanbattista Cocchi, cancelliere
podestarile.
Antonio, nacque casualmente a Benevento il
3 agosto 1695 giacché il padre Diacinto, notabile
e funzionario nell’amministrazione del
Granduca Cosimo III° de’ Medici, incaricato
della gestione dei beni di Falco Rinuccini nobile
fiorentino e marchese di Baselice, fu trasferito
nella nostra città con la moglie Beatrice
Bianchi di Baselice.
Tornati poco dopo in Toscana, i Cocchi iscrissero
il figlio alla scuola degli Scolopi di Firenze,
e Antonio iniziò quella lunga strada di scienziato,
medico, antiquario, botanico, filosofo, che lo
portò in tutta Italia e in diversi paesi europei
come Inghilterra, Francia, Svizzera, Olanda e
Germania.
Fortemente legato alla sua terra d’origine si
firmò “Mugellano” da quando, iscritto nei moli
dell’Ateneo di Pisa, aveva rivendicato le sue
origini fiorentine. Il monogramma personale
infatti mostra una M di Mugellano capovolta e
una A di Antonio in essa incastonata. Di eclettica
formazione e di poliedrica attività fu membro
dell’Accademia della Crusca, fermo assertore di
una scienza laica e libera, versatile letterato e
anche massone.
Tra le sue molte opere ci occupiamo delle
“Effemeridi”, il diario privato di Antonio
Cocchi: sono contenuti appunti informali su
disparati argomenti, in molte lingue antiche e
moderne, con numerosi segni e disegni.
Nei 103 quaderni manoscritti autografi donati
dagli eredi alla Biblioteca biomedica dell’Università
degli studi di Firenze (un tempo
Biblioteca dell’Ospedale di Santa Maria Nuova
in Firenze) Cocchi racconta la sua vita dal 1722
al 1757 con dovizia di particolari: elenca le persone
incontrate, i luoghi visitati, i libri e i codici
manoscritti posseduti, i malati curati, le entrate
e le uscite della cassa personale, quasi sempre
vuota. Ne emerge uno spaccato assai interessante,
che fa delle “Effemeridi” una testimonianza
importante per la ricostruzione storica della
medicina, della biblioteconomia, della filosofia,
della politica, dell’arte e della letteratura del
Settecento toscano. In una recensione del libro
“Quaderno di cultura” degli autori Selvaggio e
Pace, edito dalla Associazione Storica del
medio Voltumo, Monica Longo parla della
Massoneria in area sannita, territorio
periferico, interno eppure,
caratterizzato da feconde tradizioni
esoteriche e stregonerie,
accende curiosità grazie a spunti
e particolari inediti. Come il
nome e le generalità del primo
massone principiato in Italia:
Antonio Cocchi, nato a
Benevento nel 1695, illustre clinico
medico dell’Università di
Pisa, avviato nella Loggia degli
Inglesi di Firenze nel 1732.
Primo massone iniziato in
Italia, specifica Nicola Di Modugno
nella postfazione, ma non
primo massone italiano in quanto
il primato è del violinista lucchese
Francesco Saverio Geminiani,
iniziato a Londra nel 1725.
Nell’articolo della Longo si fa riferimento
a eventi singolari.
C’è una significativa fetta di
Sannio nella massoneria italiana. Il
professore Di Modugno, storico
della massoneria, riporta tra gli
altri succosi aneddoti, quello
riguardante Padre Pio e Raffaele
De Caro. De Caro, nato a
Benevento il 1883, iniziato nel
1911, insignito del grado di
Maestro un anno dopo, deputato al
parlamento, firmatario del Manifesto
degli intellettuali antifascisti
redatto da Benedetto Croce, “nel
1957 ebbe un malore e, ritenendo
vicina la sua morte, chiese a Guido
(Guido De Caro, nipote e figlio
adottivo di Raffaele, iniziato presso la Reale
Loggia Manfredi di Benevento, di cui fu successivamente
Maestro Venerabile) di recarsi
a San Giovanni Rotondo a pregare Padre
Pio, di cui era intimo amico fin dalla adolescenza,
di venire a Benevento a dargli
l’estrema unzione. Guido — si legge nella
ricostruzione di Di Modugno — partì con
l’autista da Benevento a mezzanotte e giunse
a San Giovanni Rotondo alle quattro di mattina”.
Padre Pio lo rassicurò e lo invitò a
prendere la via del ritorno: “Vedrai Guido —gli disse — quando arriverai a Benevento lo
troverai di nuovo bene”.
E così fu…La storia della Massoneria è
stata attraversata da condanne, sospetti e pregiudizi;
da corporazione di maestri d’opera
diventa un corpo speculativo, ciò nondimeno
è importante non dimenticare il suo contributo
di matrice illuministica anticipando concetti
quali la libertà, l’uguaglianza, la fraternità,
la tolleranza religiosa, la dignità individuale,
il libero pensiero. Nei confronti del
personaggio mugellano, la Chiesa non poté
fare a meno di riconoscere la sua vivida
intelligenza e la sua profonda cultura. La storia
ci ricorda tuttavia che Benevento è stata
un’enclave dello Stato Pontificio all’interno
del Regno di Napoli dal IX secolo al 1860, e
quindi ad Antonio Cocchi, oggetto di attenzione
del Tribunale dell’Inquisizione in
quanto massone, è stata dedicata una strada
Giuseppe
Patrevita
disabitata con solo tre numeri civici, di cui
due con vetrina chiusa di negozio di abbigliamento.
Di fronte al banco di Napoli al Corso Garibaldi
c’è una stradina angusta di meno di
cento metri che sbocca a Piazza Roma. E Via
Antonio Cocchi tra il Palazzo dell’Aquila
Bosco Lucarelli del XX secolo e lo splendido
palazzo Collenea-Isernia appartenente al
nobilato locale.
Un’ulteriore sberla al mugellano beneventano
è assestata da Google Maps e Street
View: si inquadra la lapide intitolata ad
Antonio Cocchi ma a terra è evidente la scritta
Via Odofredo, giurista di Bologna (1200-
1265). Che dire…? Ci troviamo di fronte
all’inconoscibilità del reale di cui ognuno
può dare una propria interpretazione ma che
può non coincidere con quella degli altri.
Così è la vita… E così è se vi pare. ( A cura dell’Archeoclub di Benevento)