Vive con l’animo sereno colui che, al sicuro sulla terraferma, osserva con distacco il mare in tempesta. Questa è, secondo Epicuro, l’immagine della felicità, che ben rappresenta quale sia lo scopo ultimo della filosofia: procurare piacere all’uomo, allontanandolo dal “mare in tempesta” delle false ansie, dei timori e dei cattivi pensieri e, soprattutto, distogliendolo dalle acque agitate dei desideri irrealizzabili. Per afferrare il vero piacere, non servono infatti chissà quali ricchezze: basta imparare ad allontanare la sofferenza e vivere del necessario. Saremo così liberi dai falsi bisogni, felici di ciò che abbiamo, capaci di affrontare la sorte e, nel caso arrivi di più, pronti ad apprezzarlo. La Lettera a Meneceo, anche nota come Lettera sulla felicità, è il testo più famoso del filosofo nato a Samo nel 341 a.C. Nelle poche pagine che la compongono Epicuro affronta temi centrali che riguarda l’etica e la metafisica. La traduzione di Angelo Pellegrino, proposta da Einaudi, condotta con rigore filologico, è accompagnata da una puntuale introduzione – che ricostruisce la figura di Epicuro e il significato della sua opera – e da altri celebri testi epicurei, che sono stati sovente ripresi anche dalla mistica cristiana: le “Massime Capitali”, il “Gnomologium Vaticanum Epicureum” e la “Vita di Epicuro”.