La città di Pescia si riscopre “garibaldina” | Il Giornale di Pistoia

Torna finalmente a splendere in Piazza Mazzini l’epigrafe in onore della visita a Pescia di Giuseppe Garibaldi, l’8 Luglio del 1867, un evento di grande importanza per la storia di Pescia e di tutto il Risorgimento italiano. L’epigrafe è stata restaurata grazie alla R.L. Valdinievole 1912 n. 1014 di Montecatini – appartenente al Grande Oriente d’Italia, la principale obbedienza massonica italiana che se ne è accollata per intero le spese, e che l’ha riconsegnata simbolicamente alla città per mano del Maestro Venerabile Michele Innocenti e del Consigliere dell’Ordine Luciano Angeli, in una cerimonia pubblica che si è tenuta in piazza nella mattinata di Domenica 3 Febbraio, alla presenza del Sindaco Oreste Giurlani. Sindaco che ha voluto ringraziare personalmente e a nome di tutta Pescia i fautori di questo generoso atto che «restituisce lustro – ha detto – ad un simbolo della nostra storia e ai due pesciatini che morirono per la costruzione dell’Italia». Di grande interesse è stata infatti la storia, ai più sconosciuta, che si cela dietro questa lapide, la prima di cinque presenti sul territorio, e ricordata da uno dei presenti. Il generale Garibaldi, primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, giunse a Pescia il 3 Luglio del 1867, nel corso del tragitto che doveva condurlo nella città di La Spezia, per visitare il giardino esoterico di Villa Garzoni a Collodi. Dopo la visita, Garibaldi tornò in città per pranzare a Villa Sismondi dove tenne un discorso d’innanzi a molti repubblicani, tra i quali due pesciatini di cui la città va fiera: Antonio Orlandi e Carlo Anzillotti, garibaldini, martiri della battaglia per l’Italia e per i principi di libertà, uguaglianza e fratellanza. Entrambi decisero infatti di arruolarsi nelle truppe garibaldine alla volta della liberazione di Roma. Antonio Orlandi rimase ferito nella Battaglia di Mentana e fu ben presto costretto a rientrare a Pescia. Mentre Carlo Anzillotti, massone, continuò a combattere sino al 1871 quando perse la vita a Digione. Come sappiamo la storia è fatta da uomini e simboli. Gli uomini che la compiono e la scrivono, i simboli che ne mantengono la memoria nelle generazioni future. E così, proprio nel luogo in cui l’eroe dei due mondi si fermò a ringraziare i pesciatini per la calorosa accoglienza, torna a vivere in tutto il suo splendore un simbolo che ci ricorda un pezzo di storia dimenticata. A testimonianza del sangue che anche Pescia ha versato per un sogno chiamato Italia.

Tommaso Serafini

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