La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha emesso una sentenza storica contro l’Italia, condannandola per la perquisizione e il sequestro di documenti sensibili relativi agli iscritti del Grande Oriente d’Italia (GOI) nelle regioni Sicilia e Calabria. La decisione riconosce la violazione del diritto alla privacy e denuncia la sproporzione e la genericità del provvedimento, evidenziando l’assenza di controllo giurisdizionale. Il caso rappresenta un punto fermo nella tutela dei diritti fondamentali contro interferenze arbitrarie.
di Redazione | 19 Dicembre 2024
Con una sentenza storica depositata oggi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per la perquisizione della sede del Grande Oriente d’Italia (GOI) e il sequestro di documenti contenenti dati sensibili relativi agli iscritti delle logge nelle regioni Sicilia e Calabria. I fatti risalgono al marzo 2017, quando, su ordine della Commissione parlamentare Antimafia presieduta dall’on. Rosy Bindi, vennero sequestrati gli elenchi di oltre 6.000 iscritti al GOI.
I motivi del ricorso alla CEDU
Il GOI si era opposto alla consegna volontaria degli elenchi, sostenendo che:
- Nessun iscritto risultava indagato dalla magistratura.
- La consegna avrebbe rappresentato una grave violazione della normativa sulla protezione dei dati personali.
Nonostante ciò, la Presidente della Commissione Antimafia diede ordine al nucleo della Guardia di Finanza specializzato nella lotta alla criminalità organizzata (SCICO) di perquisire la sede del GOI a Roma. La perquisizione, durata 14 ore, si estese all’intera struttura, compreso l’appartamento privato del Gran Maestro e persino il capanno degli attrezzi.
La sentenza della Corte di Strasburgo
Nelle 40 pagine della sentenza, la CEDU ha riconosciuto che:
- La perquisizione e il sequestro hanno violato l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto alla privacy e al rispetto del domicilio.
- Il provvedimento era sproporzionato e privo di adeguata motivazione, in quanto non esistevano prove o sospetti ragionevoli sul coinvolgimento del GOI in attività illecite.
- Non vi è stata alcuna verifica giudiziale preventiva sull’ordine di sequestro, che copriva un arco temporale di 27 anni e risultava eccessivamente generico.
- La documentazione sequestrata è stata trattenuta anche dopo lo scioglimento della Commissione nel 2018, senza alcun controllo indipendente.
Un precedente di discriminazione
Il GOI ha sottolineato che questo episodio si inserisce in un contesto di lunga data di atti discriminatori contro l’associazione, risalenti fino al periodo fascista, quando furono sequestrati i beni del GOI, incluso Palazzo Giustiniani. In passato, la Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia per norme discriminatorie nei confronti della massoneria, come nelle sentenze N.F. c. Italia (2001) e Maestri c. Italia (2004).
Le dichiarazioni del Gran Maestro Stefano Bisi
Il Gran Maestro del GOI, Stefano Bisi, ha commentato con soddisfazione il risultato conseguito, pur senza dimenticare il prezzo pagato in termini di sofferenze e discriminazioni. “Non si può gioire per la condanna dell’Italia, ma occorre trarne insegnamento per il futuro”, ha dichiarato Bisi. Ha inoltre ribadito l’impegno del GOI nel proseguire le azioni giudiziarie per la restituzione di Palazzo Giustiniani, auspicando che il tempo restituisca verità e giustizia.
Infine, Bisi ha espresso gratitudine ai giuristi che hanno rappresentato il GOI nella causa, in particolare al prof. Vincenzo Zeno-Zencovich, patrocinatore innanzi alla CEDU, e agli avvocati Fabio Federico e Raffaele D’Ottavio.
Implicazioni future
La sentenza odierna rappresenta un monito contro le interferenze arbitrarie dei poteri pubblici e riafferma la necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali anche nelle indagini parlamentari. Il caso del GOI evidenzia l’importanza di un controllo giurisdizionale indipendente come garanzia essenziale in una società democratica.