LA “LISTA”, PER LA MODERNA CACCIA ALLE STREGHE/Nuovo Giornale Nazionale

 26 Gennaio 2025

di Aldo A. Mola

La pesca a strascico

“C’è un giudice a Strasburgo” è il titolo del nuovo libro di Stefano Bisi, per due mandati (2014-2024) gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Di che cosa parla? Semplice e chiaro. Nel lontano 2017 Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare di indagine sulle mafie e altre associazioni criminali si convinse che almeno in alcune regioni d’Italia, come la Sicilia e la Calabria, le logge massoniche fossero cassa di compensazione fra massoni e  organizzazioni malavitose dai molteplici nomi (Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta…). Altrettanto plurime erano e sono le denominazioni distintive delle Comunità dei Liberi Muratori. Per venirne in chiaro, decise Bindi, bisognava confrontare le liste degli affiliati alle logge con i nomi degli inquisiti per mafia. Questi ultimi, per la verità, vanno distinti tra quanti risultano sicuramente colpevoli di reato di associazione mafiosa (id est: criminale) sulla base di indagini e di sentenze passate in giudicato; quanti, invece, risultano colpevoli di fiancheggiamento o “concorso esterno” con mafiosi; e, infine, chi viene “indicato” come sospetto di contatto continuativo o circoscritto e magari del tutto casuale e inconsapevole con persona indagata per reati di mafia.

   La consistenza del reato di “concorso esterno” è stato ed è oggetto di molte riserve da parte dei giureconsulti, per la vaghezza della sua sostanza. Ancor più lo è l’addebito di collusione con mafiosi e mafie. Può essere frutto di supposizione priva di elementi probanti, di “vendette trasversali” tra appartenenti a cosche rivali o talvolta (come spesso accertato) di “pentiti” in cerca di accreditamenti e corrivi, di propria scelta ovvero indotti da altri, a “narrare” anche ciò che non sanno. Non di rado la loro “testimonianza” è risultata infondata a seguito di indagini accurate e di sentenze passate in giudicato.

   In sintesi, quando iniziò a occuparsi di collusione tra mafie e logge, la Commissione parlamentare d’inchiesta non partiva da una certezza suffragata da indizi di reato, validate da indagini e da rinvii a giudizio e da sentenze nelle quali si era concluso che il cittadino “X” aveva avuto rapporti con mafiosi in quanto massone, cioè a nome della sua loggia o della Comunità massonica di appartenenza, e che il mafioso “Y” aveva instaurato rapporti criminosi con il massone “X” non come persona singola ma quale primo anello di una catena che, salendo “per li rami”, gli avrebbe consentito di coinvolgere nelle sue condotte criminose la sua e molte altre logge e infine i vertici nazionali e persino internazionali delle logge e dei riti di appartenenza dei singoli massoni.

   La presidente Bindi, assecondata dai commissari, decise dunque di recidere il nodo gordiano: “avere le liste”. Tutte.

Estate 2016: quando i grandi maestri furono auditi…

Passo preliminare furono le audizioni dei grandi maestri (o presidenti che dir si voglia) di quattro Comunità massoniche italiane: il Grande Oriente d’Italia (GOI), la più antica e numerosa, con sede in Roma, a Villa Medici (edificata per il generale Giacomo Medici, garibaldino, poi aiutante di campo di Vittorio Emanuele II, uomo d’ordine); la Gran Loggia d’Italia degli antichi e liberi muratori di Rito scozzese antico e accettato, con sede in alcuni ambienti di Palazzo Vitelleschi, prospiciente l’area sacra di Torre Argentina; la Gran Loggia Regolare d’Italia (nata su impulso della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, da molti ritenuta depositaria di legittimità e regolarità); la Serenissima Gran Loggia scozzese. La Commissione mise nel mirino quattro delle numerose (un centinaio o assai più?) organizzazioni massoniche (associazioni, ordini, fratellanze…) esistenti in Italia con le denominazioni più varie e spesso ripetitive, ma bene o male tutte riferite a Orienti, Grandi logge e Riti. Meglio sarebbe se il Parlamento varasse una legge analoga a quella esistente in Francia dal 1901, a tutela del nome delle associazioni, con quanto ne discende a beneficio degli associati, ai quali, “sic stantibus rebus”, può accadere di essere dipinti come criminali perché un magistrato o persino una legge giudica colpevole l’associazione di cui fa parte. L’indagine, condotta dalla Commissione con i poteri di corte giudiziaria, si restrinse ad alcune “sigle più sospette di altre perché nelle regioni più “chiacchierate” risultavano maggiormente presenti loro ramificazioni

   Chiamati “ad audiendum verbum” dinnanzi alla Commissione nella rovente estate del 2016 i “capi” delle quattro Comunità massoniche, ognuno a modo proprio come si evince dalle audizioni (registrate e messe in rete da Radioradicale, che svolge benemerito servizio pubblico), difese i propri affiliati e respinse con sdegno l’addebito di avere mai propiziato rapporti malavitosi tra logge, singoli iniziati e organizzazioni criminali.

   Richiesto di esibire le liste degli affiliati delle regioni nel mirino della presidente Bindi, Stefano Bisi, gran maestro del GOI, il 3 agosto 2016 rifiutò seccamente in nome del diritto alla riservatezza (altra cosa dal “segreto”), radicato nella Costituzione della Repubblica che garantisce il diritto di partecipare ad associazioni che non cospirano contro la sicurezza dello Stato. Come appunto la Massoneria, i cui iniziati si proclamano fedeli alla Carta costituzionale, tra le più avanzate nel mondo in difesa dei diritti “non negoziabili”, come più volte spiegato da Marcello Pera e da tanti costituzionalisti.

…e perquisiti (1 marzo 2017)

Sentendosi sfidata, la presidente Bindi decise il blitz. Il 1° marzo 2017 mandò una missione speciale del Scico (sezione particolare della Guardia di finanza) a prelevare da Villa Medici tutto il “materiale” che ritenesse indispensabile per documentare la sospetta collusione tra GOI e organizzazioni mafiose. L’ispezione, come ricorda il gran maestro Bisi in “C’è un giudice a Strasburgo”, durò quattordici ore ininterrotte, dal pomeriggio alla mattina seguente. Fu arcigna e minuziosa. Tutte le persone presenti nella Villa furono identificate, ogni vano fu verificato. Vennero esplorati i recessi più improbabili, perché, come recita il brocardo, il diavolo si nasconde nei dettagli, e magari poteva essere celato nelle colonne J e B poste nella Biblioteca intitolata al giurista Paolo Ungari, nel giardino, ai piedi o tra le fronde dei pochi alberi che lo ornano e che furono pertanto a loro volta vagliati dalle radici alla chioma.

   Terminata l’ispezione, completa di asportazione della documentazione ritenuta utile all’indagine, il Grande Oriente protestò per l’abuso perpetrato a suo danno, nell’indifferenza dei tanti “media” solitamente corrivi a schierarsi a fianco di chi subisce iniquamente torti. Per capire il clima bastò osservare che la notizia della perquisizione venne diramata alle agenzie di stampa prima ancora che essa avesse inizio. “Qualcuno” aveva fretta di additare all’opinione pubblica “il Mostro” prima ancora di avere qualche prova a suo carico o forse nel timore di non uscisse un ragno dal buco al termine di un’indagine basata sul capovolgimento dell’onere della prova: ti accuso, ma non tocca a me provare che sei colpevole, sei tu a dover dimostrare la tua innocenza. Diversamente sei reo, anche se non confesso.

I dubbi sulla legittimità di quell’azione…

  Sorda a ogni appello al confronto sul terreno dei fatti, nella propria Relazione conclusiva la Commissione, all’occaso della Legislatura, asserì che la massoneria è “sostanzialmente segreta”: un’affermazione linguisticamente incomprensibile e giuridicamente irrilevante. Le cose sono o non sono. Orbene, “massoneria” è un sostantivo comune di tante “cose”: polisemico, inflazionato e quindi labile. Anche dal suo avvento in veste “moderna” sull’inizio del Settecento, la sua “sostanza” era e rimane indefinita. È esperienza individuale all’interno della loggia, che a sua volta è uno spazio illimitato. La volta del Tempio non è “chiusa” come quello delle cattedrali e delle moschee: è il cielo stellato. Lì la fratellanza va oltre statuti associativi e regolamenti. Essa “è”. “E-mozione”. Ognuno esce da sé e si con-lega alla “catena di unione”. Ne scaturisce l’eggregore. Lì sono l’impercettibile e l’ineffabile che gli scrivani dei tribunali inquisitori spacciano per “segreto”, da reprimere, condannare ed espellere dalla società fondata su massificazione e uniformità. Lo precisa Alfio Manoli in un corposo libro sul Rito scozzese  antico e accettato, recentemente pubblicato da Giuseppe Laterza.

   Ma come far comprendere i rudimenti dell’Arte Reale a chi aveva pregiudizi che giungevano da chissà quali letture infantili? Non per caso, come ricorda Bisi, la Commissaria non esitò a evocare quale precedente, ma neppure abbastanza rigoroso, la legge fascista che il 26 novembre 1925 mise le comunità massoniche italiane (Grande Oriente e Serenissima Gran Loggia) nella condizione di auto-sciogliersi per scongiurare la persecuzione dei propri associati, duramente colpiti nella fiorentina “Notte di San Bartolomeo” del 3 novembre precedente, costata la vita a tre massoni assassinati perché tali.

…e il ricorso alla Corte di Strasburgo

Chiesta invano la restituzione dei “reperti” asportati durante la perquisizione e la distruzione delle liste, come altra volta in passato, a fronte dell’introduzione di “norme” discriminatorie ai danni dei massoni italiani, il GOI guidato da Bisi ricorse alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo valendosi di giuristi preparati e tenaci. Dopo anni, ha avuto ragione: la Commissione d’inchiesta andò oltre il limite delle esigenze d’indagine.

   Nel suo nuovo libro, che fa seguito a “Massofobia. L’Antimafia dell’Inquisizione” (ed. Tipheret), Bisi ricorda altre rivendicazioni da anni ribadite dal Grande Oriente d’Italia: in specie i 140 metri quadrati di Palazzo Giustiniani promessi più di trent’anni addietro dal “lodo Giovanni Spadolini”: pochi, ma forse utili per un “Museo Massonico Virtuale”, capace di documentare la plurisecolare connessione tra logge e storia generale d’Italia dall’Illuminismo al Risorgimento, dall’unità alla Grande Guerra, dalla Costituzione ai giorni nostri. Da una pur minima “emittente”, con una finestra affacciata su Piazza della Rotonda, di fronte al Pantheon, tomba di Raffaello Sanzio e dei due primi Re d’Italia, sarebbe possibile ricordare i tanti patrioti che nelle logge cospirarono per l’unità nazionale e la fratellanza dei popoli (basti, tra i molti, il nome di Giuseppe Garibaldi) e ne consolidarono le basi sociali ed economiche, come negli Anni Trenta-Quaranta del Novecento fecero Alberto Beneduce, già oratore del GOI e da Mussolini voluto presidente dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale e riformatore della Banca d’Italia, e Domenico Maiocco, socialista, antifascista e massone, promotore della Massoneria Unificata, riconosciuta dalla Giurisdizione americana del Rito scozzese antico e accettato quale volano dell’Italia finalmente libera da nazionalismi, sovranismi e altri feticci del passato remoto.

Persecuzioni ricorrenti, vane ma devastanti

In un’ottica storiografica di lungo periodo e di vasto spettro, la deplorazione pronunciata dall’Alta Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo nei confronti dell’arbitraria confisca delle liste di massoni voluta da Rosy Bindi investe anche le indagini che, come prevedibile, nel corso del tempo non hanno affatto provato la fantasiosa collusione mafia-massoneria ma hanno danneggiato in misura grave e spesso irrimediabile molte persone i cui nomi sono stati esposti al pubblico ludibrio. Era accaduto con l’“affare P2” e poi con l’inchiesta condotta dal procuratore Agostino Cordova. In entrambi quei casi i “media” per anni gettarono in pasto a un’opinione pubblica manipolata e prevenuta elenchi interminabili di nomi di persone spacciate per colpevoli di chissà quali nefandezze solo perché massoni. Ci vollero quindici anni prima che una Corte d’Assise dichiarasse in via definitiva che i “piduisti” non solo non avevano mai progettato alcun golpe militare ma non avevano neppure perseguito un progetto politico di destabilizzazione delle istituzioni. Però, va notato, per arrivare a quella sentenza passarono tre lustri. E ciò malgrado, qualcuno affermò e altri ancora ripetono che la P2 stava alla Massoneria come le Brigate Rosse al Partito comunista italiano: un paragone del tutto infondato. Basti ricordare che la famosa o famigerata loggia “Propaganda massonica” non ha mai tenuto alcuna assemblea, non ha mai deliberato alcun programma e che il suo maestro venerabile mandava lettere e circolari per posta ordinaria, come documentano decine di volumi degli Atti della Commissione d’Inchiesta. Al generale Carlo Alberto dalla Chiesa Gelli scriveva indirizzando le lettere alla Caserma “Bergia” di Torino: in chiaro, non in caratteri criptici. Qualunque portalettere o furiere avrebbe potuto leggerle prima che arrivassero nelle mani del destinatario. Non sembra lo stile di due cospiratori…

2025…1925

La Corte europea di Strasburgo si è fatta sentire alla vigilia di questo 2025 che, per chi ha buona memoria, non è un anno qualunque, bensì il centenario della “distruzione del Tempio”, cioè del forzato autoscioglimento delle maggiori comunità massoniche italiane: il GOI e la Gran Loggia. Ciascuna delle due, aggiungiamo, aveva all’estero una rete di un centinaio di logge, non solo nelle colonie dell’Italia ma anche in Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia e nelle Americhe. Ve n’era una persino in Cina. Erano altrettante antenne di un’italianità poliglotta che, a volte all’estero da generazioni, era rimasta legata alla terra d’origine e si affermava con i propri meriti, a confronto con quelli delle altre genti europee approdate nei vari continenti e lì in rapporto con civiltà, credenze, costumi locali. Erano parte di un universo dialogante al di là delle differenze di razza e di religione, come già era l’Italia tra Otto e Novecento.

   Per l’incipiente regime mussoliniano, mirante a imporre il pensiero unico, in quel 1925 fu necessario demolire le comunità massoniche per rivendicare il monopolio dell’“idea di Italia”, nata da tutt’altra cultura, il liberalismo risorgimentale: un’ Italia europea, già in cerca delle “civiltà sepolte”. Per i grandi e piccoli gerarchi del regime era importante impadronirsi delle “liste”, per tenere d’occhio i massoni ed espellerli dalla vita pubblica, a cominciare da quella culturale. In un mondo fondato sul sospetto, sull’incubo del complotto e del ricatto era fondamentale disporre degli elenchi dei massoni. In “C’è un giudice a Strasburgo” Bisi ricorda come venne salvato il collare della gran maestranza. Altrettanto interessante sarà narrare come vennero sottratti alla confisca i volumi della “Matricola” generale del Grande Oriente d’Italia e i “Registri” degli iniziati alla Serenissima Gran Loggia, documenti base per capire il massonismo italiano. Esso non si riduce a tabelle statistiche sulle condizioni professionali degli affiliati o sulle loro classi d’età: è “categoria dello spirito”.

   Di quelle liste avevano bisogno sia il massonofago Mussolini – che nel 1938 schernì Italo Balbo quale “porco democratico che faceva l’oratore nella loggia Savonarola di Ferrara” perché non condivideva le leggi razziali – sia e soprattutto i mastini del regime. Impugnando “la lista”, costoro avrebbero sparato a zero contro gli affiliati, per esempio precludendo loro la direzione di sezioni particolarmente sensibili dell’“Enciclopedia italiana”. Proprio perché non si avevano “pove”a loro carico vi poterono operare Angelo Sraffa (Diritto pubblico), padre di Piero, che portò in salvo i “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci; di Enrico Fermi (Fisica), iniziato alla Gran Loggia; e Raffaele Pettazzoni (Storia delle religioni). Altri “fratelli”, come Arnaldo Momigliano, uno per tanti, erano nella Redazione. Aggiungeremo l’elenco dei tanti futuri antifascisti celeberrimi che collaborarono con “voci” alla costruzione del maggior monumento culturale italiano qual era e rimane l’“Enciclopedia Treccani”. Tra i molti bastino i nomi di Arturo Carlo Jemolo e Piero Calamandrei, già e poi vicini all’universo massonico. Analogo discorso andrà fatto per l’Enciclopedia pubblicata dalla Utet di Torino, antico presidio massonico.

Dirigenza culturale e Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

Il punto è che, come la “dirigenza” burocratica (vertici dell’amministrazione dello Stato e degli “enti autarchici territoriali, cioè province e comuni), neppure quella “culturale” si improvvisa. Vale per le discipline cosiddette scientifiche (matematica, fisica, chimica, medicina, ingegneria…), come per le economiche e per quelle cosiddette “umanistiche”. Il filologo, il linguista, lo storico non nascono dai “manipoli”, dallo squadrismo, dal fanatismo. Sono l’opposto. Crescono dallo studio. Da apprendisti, i loro cultori imparano in silenzio; da compagni d’arte, dialogano; poi entrano nelle maestranze, che sono cenacoli di pari grado, intenti a dirozzare le pietre e a costruire la civiltà degli uomini liberi, fondata su norme sempre più universali, condivise dagli Stati attraverso dichiarazioni e convenzioni vincolanti.

   Il discrimine sono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 e tutte le “carte” che ne sono derivate. Esse sono il solco tra un prima e un poi. Chiudere gli occhi dinnanzi a chi li calpesti significa mettersi a fianco dei loro nemici e compiere un balzo all’indietro, dalla civiltà dei diritti ai regimi dei prepotenti. Bene, dunque, che ci sia ancora un giudice a Strasburgo e che l’Europa continui a credere in se stessa, “educata” qual è dai tanti crimini che ha compiuto nei secoli su di sé se e su popoli di altri continenti. Ha fatto il suo “esame di coscienza”, ha confessato i propri errori, ha espiato. Ora ha diritto di essere se stessa: non un fastello di merci e un groviglio di tasse per guerriglie tra gnomi ma un patrimonio di civiltà divenuta Storia.

La vittoria del gran maestro Stefano Bisi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, è merito suo, degli avvocati che lo hanno assistito (Vincenzo Zeno-Zenkovic, Raffaele D’Ottavio e Fabio Federico) e del Grande Oriente d’Italia; ma lo è anche  di tutti gli “uomini liberi e di buoni costumi”, quale ne sia l’appartenenza, perché confuta la prepotenza di Pubblici Poteri che per colpire oggi i massoni, domani chissà chi altri, vanno al di là della legge e diffondono una visione distorta della realtà.



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