La parabola di Arturo Dazzi: dalle stelle al silenzio (articolo di Adolfo Lippi)
(…)
Dazzi iniziò prestissimo a Carrara (era nato nel 1881 come William Dazzi). Già a undici anni, benché di famiglia poverissima (e abbandonato dal padre scappato negli Stati Uniti d’America), entrò all’Accademia di Belle Arti e, davvero bravo, vinse nel 1901 un pensionato a Roma dove ottenne subito riconoscimenti e premi con lavori improntati al realismo sociale.
In quegli anni viene iniziato alla Massoneria nella loggia “Fantiscritti” di Carrara. Il suo era uno stile infiammato e patriottico. Guardava al fiorentino Lorenzo Bartolini (1777-1850) che a Parigi aveva frequentato David e Ingres, guardava al francese Bourdelle dal forte gusto monumentale e idealistico. Così s’avviò in quella strada e lasciata da parte la figura carezzata, intimista, leggera, Dazzi si gettò con passione verso la committenza pubblica che in quegli anni richiedeva statuaria eroica e richiami risorgimentali.
Il suo primo importante intervento fu per l’altare della Patria. Fece un fregio con omaggio a Garibaldi, vinse il premio ma non realizzò il bassorilievo. Però gli valse l’attenzione di un critico come Ugo Ojetti e subito dopo una sua opera, il gruppo “I costruttori”, fu acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte moderna. Fino al primo dopoguerra fu poi un continuo succedersi di affermazioni: a Napoli a Palazzo Filangeri, a Venezia ai giardini del Castello (espose un Cristo fortemente verista), a Firenze, a Roma (mostra delle Secessione), a San Francisco in California (dove il sindaco di Roma Nathan fu accusato di avere scelto artisti molto massoni).
(…)