Il convegno di Livorno. La città fu porto franco aperto a varie etnie e religioni, perché così la vollero i Medici nel 1593. Viaggio tra le «leggi livornine», esempio di tolleranza tra le intolleranze di oggi. Articolo di Mauro Bonciani.
C’erano la Nazione Armena, la Nazione Inglese, la Nazione Olandese Alemanna, la Nazione Greca, la Nazione Francese e la più famosa e numerosa, la Nazione Ebrea. Era la Livorno multietnica e multireligiosa molto prima che questi termini entrassero nel linguaggio, la città «creata» dai Medici per rimediare all’insabbiamento del porto di Pisa, il laboratorio economico e sociale sviluppatosi grazie alla Costituzione Livornina emanata dal Granduca Ferdinando I nel 1593 che assieme ai privilegi del 1591 costituisce le Leggi Livornine. Quelle che dettero immunità ai mercanti stranieri, ebrei in primis. Un esperimento il cui risultato furono secoli di convivenza e tolleranza, una delle comunità ebraiche più vitali, ricche e colte d’Italia e che portò il borgo con meno di 1.000 abitanti del XV secolo a essere una vera città. Tutto iniziò quattro secoli fa. Ferdinando voleva fare di Livorno un importante centro di commerci e traffici con il Mediterraneo e decise di dichiararla porto franco, concedendo allo stesso tempo privilegi e immunità ai mercanti stranieri, pensando soprattutto agli ebrei espulsi alla fine del 1400 da Spagna e Portogallo e ai «marrani», cioè gli ebrei convertitisi al cristianesimo e nascostamente ancora fedeli al Talmud. Dopo i primi provvedimenti e quelli del 1591 che cancellavano i debiti contratti all’estero e alcuni reati, il salto di qualità arrivò con la Costituzione: il Serenissimo Granduca rivolto «a tutti voi mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute», volendo «accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi e mercantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi» scriveva nel primo articolo della Costituzione «concediamo le gratie e Privilegi e prerogative e immunità et esentioni poi scritte». I Privilegi erano tali soprattutto per gli ebrei – sottoposti a leggi restrittive in tutta Europa, Toscana compresa dove a Firenze e Siena gli stessi Medici costringevano gli ebrei ad abitare nel ghetto dal 1571 – che venivano sottratti all’Inquisizione, i cui figli non potevano essere battezzati prima dei 13 anni, che potevano acquistare case e tenere serve e bambinaie cristiane e se medici curare i cristiani o possedere libri in ebraico. Non solo, la libertà di culto era garantita per tutti e così presto la comunità ebraica ispano-portoghese divenne numerosa e in città sorsero chiese (e col tempo anche cimiteri) delle varie Nazioni. Ogni Nazione, ebrei compresi, era sostanzialmente autogovernata anche per la giustizia, aveva Consoli e poteva abitare ovunque – a Livorno non sorse mai un ghetto – ottenendo la «cittadinanza» toscana e quindi le relative immunità se si stabiliva in città. La Nazione Ebrea poteva anche decidere chi ammettere o meno a Livorno, permettendo così alla élite lusitana di tenere le redini della comunità tanto da imporre il rito ebraico portoghese e il clima di tolleranza favorì gli studi ebraici attirando famosi rabbini, con mecenati che aiutarono le accademie talmudiche, con una produzione di libri in ebraico che raggiunse tutto il Mediterraneo. La libertà per gli ebrei (che arrivarono a essere il 10% degli abitanti di Livorno) era eccezionale, ma non mancarono tensioni, con tentativi dell’Inquisizione di perseguire i marrani, di contestare il battesimo solo dopo i 13 anni o la cura dei cristiani, e il popolino che, ispirato dal clero osteggiava gli ebrei e alti e bassi tra le due comunità, fino al celebre editto del 1680 con il quale il granduca Cosimo III vietava il «commercio carnale» tra cristiani ed ebrei dopo aver proibito agli ebrei di ricorrere a balie o a servitori cattolici e i rapporti sessuali tra gli appartenenti alle due religioni. Livorno era anche la città del «bagno» degli schiavi musulmani, fatti prigionieri e messi a remare sulle navi dell’Ordine militare di Santo Stefano creato sempre dai Medici – i Quattro Mori rappresentano schiavi dall’Africa, dall’Algeria, dall’Arabia e dalla Turchia – ma nonostante tutto, la tolleranza, l’intreccio di culture e religioni (gli schiavi islamici potevano pregare in piccole moschee) prevalse. E le Nazioni fino all’Ottocento ebbero un ruolo decisivo per la città e l’economia della regione, con chiese, cimiteri, ville, palazzi che ancora oggi punteggiano Livorno in ricordo dei tanti stranieri e delle tanti fedi che vi convivano. Così Livorno fu capitale ebraica, ma anche garibaldina, della Massoneria, anglofila, le cui molte anime e culture sono sintetizzate perfettamente nel cacciucco il cui nome probabilmente deriva dalla parola turca kaukli, che significa mescolanza di piccoli oggetti, e che fu «adottata» per l’insieme di pesci diversi, grandi e piccoli rimasti sul fondo della barca e finiti in tavola.
Un commento a “Livorno, città delle Nazioni | Corriere Fiorentino”