“Molti storici, e non soltanto di parte massonica, si sono dedicati al complesso rapporto tra
Napoleone Bonaparte e l’istituzione libero muratoria. Questi studi vertono essenzialmente
su due tematiche principali: la prima questione riguarda l’appartenenza stessa di Napoleone
alla massoneria; la seconda concerne il ruolo svolto dalla massoneria nel periodo
napoleonico. Circa l’appartenenza di Napoleone alla massoneria, occorre essere molto
chiari: manca un elemento documentale diretto che attesti l’iniziazione massonica di
Napoleone o la sua appartenenza al piedilista di una loggia. Tuttavia, come hanno
evidenziato molti storici, questo è un elemento comune a molti personaggi. Vale la pena di
fare un esempio che riguarda proprio il fratello maggiore di Napoleone, Giuseppe, che
diventerà negli anni, in successione, Gran Maestro dei Grandi Orienti di Francia, di Napoli e
di Spagna. Ebbene, per un secolo e mezzo molti autorevoli storici hanno sostenuto, forti di
una assenza documentale, che il suo ruolo fosse esclusivamente onorifico e che egli non
fosse mai stato iniziato, né avesse mai partecipato a una tornata di loggia. Ma
inaspettatamente, nel 1950, uno studioso ha recuperato, in un archivio dimenticato, un
verbale di una loggia di Marsiglia, la Parfaite Sincérité, che attesta l’avvenuta iniziazione di
Giuseppe Bonaparte, assieme a Cristoforo Saliceti, corrente l’anno 1793. Insomma, l’assenza
della prova non è la prova della assenza e il futuro potrebbe riservarci delle sorprese. Vi è
tuttavia tutta una serie di prove indirette a favore della affiliazione massonica di Napoleone,
la cui raccolta organica si deve soprattutto alla straordinaria opera di François Collaveri, e
che sostanzialmente si fonda su tre ordini di argomenti.
L’affiliazione di Napoleone
Il primo si basa sul fatto che in numerosissimi documenti ufficiali dell’epoca (Collaveri ne
raccoglie qualche decina, nelle due fondamentali opere: Napoleon franc-maçon? e La Franc-
Maçonnerie des Bonaparte) nei quali Napoleone viene indicato come un “fratello”.
Si potrebbe obiettare che si tratta di un indizio piuttosto labile, e tuttavia appare strano che
documenti di questo genere venissero approvati, direttamente da Napoleone o
indirettamente tramite i suoi più stretti collaboratori, senza un fondamento di verità.
In questo tipo di prove indirette, rientra anche il copiosissimo numero di logge intitolate a
Napoleone. Il solito Collaveri, limitandosi al solo Grande Oriente di Francia (che però
includeva logge italiane – toscane, liguri e piemontesi -, olandesi, spagnole, croate: tutti
territori dell’Impero) riporta un elenco, certamente incompleto, che include decine di logge
intitolate a Napoleone: Napoleone il Grande, San Napoleone, Gli Amici di Napoleone, Gli
Amici di Napoleone il Grande, I Figli di Napoleone, I Veri Amici di Napoleone, Fedeltà a
Napoleone il Grande, Napoleone Magno, Il Trionfo di Napoleone, I Cavalieri di San
Napoleone, Gli Amici Fedeli di San Napoleone, La Francese di San Napoleone, Reale
Napoleone, Stella Napoleone, San Napoleone della Gloria, La Costellazione Napoleone,
Napoleone-Giuseppina degli Amici Riuniti, per tacere di tutte quelle intitolate ai fratelli,
sorelle, cognati e parenti vari di Napoleone. (…) Il secondo ordine di argomenti a sostegno di
una iniziazione massonica di Napoleone è quello relativo a ciò che potremmo definire una
vox populi massonica. Chi si occupa dei problemi di presunte affiliazioni massoniche di vari
personaggi sa bene che la vox populi massonica è spesso stata confermata anche quando
una prevaricante cultura antimassonica la smentiva sprezzantemente (basti qui ricordare i
casi di Giovanni Pascoli, di Federico Garcia Lorca, di Totò, e di tanti altri personaggi di cui
sono emersi inaspettati documenti di conferma). Ebbene, la vox populi massonica ha sempre
considerato Napoleone come un “fratello”, anche se – nello straordinario fiorire di leggende
che lo riguardavano – furono prodotte molte differenti versioni dell’iniziazione: quella
contenuta nelle cosiddette Confessioni di Napoleone (redatte da Pierre Dufey e pubblicate
nel 1816) in cui Napoleone sarebbe stato iniziato in Corsica dopo aver conosciuto Pasquale
Paoli; quella contenuta nelle Memorie storiche e segreti dell’Imperatrice Giuseppina
(pubblicate nel 1820 da una certa Marie-Anne Le Normand) in cui il Nostro sarebbe stato
iniziato per ben due volte, una nella foresta di Fontainebleau, l’altra durante la campagna
d’Italia; quella contenuta nei Souvenirs des Guerres d’Allemagne pendant la Révolution et
l’Empire, del generale Joseph de Comeau (opera pubblicata postuma nel 1900), in cui si
legge che «Sin da tenente Bonaparte era massone. A Parigi, nel 1814, fonti attendibili mi
affermarono che, quand’era tenente-colonnello Bonaparte venne iniziato a Marsiglia in una
loggia del Grande Oriente»; quella, sostenuta da Eugène Coulet, che lo vuole iniziato in una
loggia castrense a Valence, nel 1785; quella, non meglio identificata, che lo vuole affiliato
prima del dicembre del 1797, momento in cui avrebbe visitato, ricevuto con tutti gli onori,
una loggia a Nancy; quella proposta da Jean Claude Besuchet, che lo vuole iniziato a Malta
nel giugno del 1798; quella dell’Abbé Grégoire, che lo vuole iniziato dopo la cerimonia di
incoronazione, nel giugno del 1805.
Se da una parte questo fiorire di versioni non aiuta a fare chiarezza e, anzi, suscita notevoli
dubbi, dall’altra potrebbe essere l’indizio che tutte queste leggende sono costruite attorno a
un nucleo di verità storica. L’opinione del solito Collaveri, sulla scorta di documenti raccolti
dal Centro Antimassonico fondato dal governo collaborazionista di Vichy nel 1941 (in
particolare si tratta di una lettera inviata dal Gran Maestro del Rito di Memphis e Misraim
per la Francia al suo omologo americano), è che Napoleone, già iniziato in una loggia
francese, abbia fondato una loggia, intitolata a Iside, al Cairo nel 1798, assieme a ufficiali e a
notabili egiziani. Infine, un terzo ordine di argomenti è rappresentato dalla massiccia
presenza di massoni tra i suoi familiari, tra cui suo padre Carlo, tutti i suoi fratelli, sua moglie
Josephine, il figlio di primo letto di costei Eugenio Beauharnais, tutti i suoi cognati
(Gioacchino Murat, Felice Baciocchi e Camillo Borghese): una presenza così massiccia che
riesce difficile immaginare che solo Napoleone non sia stato iniziato, soprattutto se si pensa
al ruolo che egli riconobbe alla massoneria non solo francese, ma anche di quella di tutti i
Paesi che finirono sotto l’influenza francese, e a capo delle quali pose sempre i suoi parenti:
il fratello Giuseppe fu Gran Maestro, nell’ordine, del Grande Oriente di Francia, di Napoli e di
Spagna; il fratello Gerolamo fu Gran Maestro del Grande Oriente di Westfalia; il fratello Luigi
fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Olanda; il figlio di primo letto di sua moglie
Giuseppina, Eugenio Beauharnais, fu il primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e il
cognato Gioacchino Murat fu Gran Maestro del Grande Oriente di Napoli.
Ma allora perché Napoleone non assunse per sé ruoli nell’istituzione massonica? È, a nostro
avviso, piuttosto verosimile che, non volendo egli assumere il ruolo di Gran Maestro – quelli
che rivestiva politicamente e militarmente erano già assai gravosi -, lo abbia delegato ad
altri, riconoscendo per se stesso un ruolo non istituzionale, ma che non faremo fatica a
definire come quello di Gran Maestro dei Gran Maestri, una sorta di Gran Maestro di un
Super Grande Oriente che comprendeva tutti i Grandi Orienti appena citati.
Il ruolo della massoneria napoleonica
Gli aspetti fin qui affrontati, e in particolare la massiccia presenza dei familiari di Napoleone
ai vertici dei Grandi Orienti di Stati posti sotto la tutela francese, ci conducono direttamente
alla seconda grande questione concernente la massoneria napoleonica. Che ruolo ebbe la
massoneria sotto Napoleone? Che ruolo Napoleone affidò alla massoneria di cui
direttamente o indirettamente egli disponeva? Di certo, non sbaglia chi riconosce a
Napoleone l’intento di fare della massoneria un instrumentum regni. Si tratta però di capire
che cosa intendere con questo termine. Alcuni autori sostengono che la massoneria fosse
semplicemente uno strumento di controllo dei nuovi Stati. Tuttavia, c’è forse un disegno più
raffinato nel rapporto tra Napoleone e la massoneria: l’idea, cioè, di usare le logge come
serbatoio cui attingere per i quadri, per la classe dirigente civile e militare, dei nuovi Stati
nascenti. Insomma, si possono immaginare le logge come il luogo in cui i membri di questa
nuova classe dirigente potessero fraternizzare fra loro, risolvendo i conflitti che
inevitabilmente si sarebbero creati nel mondo profano. Dentro le logge napoleoniche
entrano immancabilmente i quadri dell’amministrazione, i quadri dell’esercito, nonché il
milieu culturale dei vari Paesi. Ed è inoltre tra le colonne dei templi massonici che
viaggiavano le idee illuministe, di cui il bonapartismo – al netto di tutte le storture dispotiche
- è stato indubbiamente portatore. L’esempio forse più emblematico è quello rappresentato
dal Grande Oriente di Napoli, che sotto la Gran Maestranza di Gioacchino Murat, raccolse
tutta la classe dirigente del Regno. Questa scelta si accompagnava al famoso editto del 1811,
col quale re Gioacchino decideva che la classe dirigente napoletana non dovesse più
provenire dall’ambiente francese, ma dovesse piuttosto raccogliere le migliori personalità e
intelligenze dell’ambiente locale. Un editto fortemente contrastato da Napoleone, il quale
infatti non esitò ad annullarlo, ma quando era ormai troppo tardi: i dirigenti francesi del
Regno di Napoli erano già rientrati in patria. Murat, imbevuto delle idee illuministe, mette in
campo tutte le sue capacità per trasformare il Regno di Napoli, per farne uno Stato moderno
(una modernità che viene ancora rivendicata dai neoborbonici, ignari del fatto che fece più
Murat in sette anni di Regno che i Borboni in secoli di dominio assoluto). Murat rinnova
Napoli, che, sebbene quarta capitale d’Europa per popolazione, manifesta una arretratezza
imbarazzante: è lui a far lastricare le strade della città, ancora in terra battuta; è lui a
ricostruire il teatro San Carlo, a riorganizzare in senso moderno le industrie tessili, a creare
orfanotrofi, scuole e ricoveri per i poveri in tutto il territorio nazionale; è lui a fondare un
nuovo quartiere a Bari, progettato e organizzato secondo criteri moderni; lui a combattere il
brigantaggio (…) Quella che Murat compie è una rivoluzione culturale, che affida però, come
detto, alle classi dirigenti napoletane (che erano già raccolte nelle logge massoniche) senza
appaltarle a funzionari francesi: tutti i progetti sono affidati a architetti, artisti e funzionari
che affollavano le logge partenopee. Non sarà un caso, quindi, che quando, dopo la
restaurazione, nel 1820 si accenderà la miccia dei primi moti risorgimentali in Italia, essi
scoppieranno proprio a Napoli, e avranno come protagonisti gli esponenti della massoneria
murattiana, tanto civili quanto militari: Giustino Fortunato, Florestano e Guglielmo Pepe,
Michele Morelli e Giuseppe Silvati. D’altra parte, col Proclama di Rimini, Murat aveva acceso
gli animi dei patrioti italiani, e persino un moderatissimo Alessandro Manzoni aveva sciolto
versi per l’occasione, coniando quello che è stato forse il primo slogan del Risorgimento
italiano: «Liberi non sarem se non siam uni». Da sempre, l’orgoglio nazionale ci impedisce di
vedere quanto l’ideale risorgimentale debba a Napoleone e Murat (per carità, senza
disconoscerne i limiti), e alle idee che arrivarono sulla punta delle baionette dei loro eserciti.
E, di pari passo, un pregiudizio diffuso impedisce a molti storici italiani di valutare nella
giusta misura il ruolo della massoneria nel processo risorgimentale, se non come istituzione,
almeno nella appartenenza di tanti uomini che nei templi massonici si erano formati.
Tornando alla massoneria napoleonica, molti studiosi, anche di parte massonica (Edward E.
Stolper, per citare uno dei più noti), hanno bollato questo periodo come quello di una
degenerazione dell’istituzione libera muratoria.
È invece possibile, a nostro avviso, leggere le cose da un punto di vista differente,
interpretando la massoneria come cinghia di trasmissione del pensiero illuministico, che
proprio sotto Napoleone raggiunge il massimo della sua diffusione, potremmo dire,
geografica e applicativa. Possiamo, in definitiva, leggere la massoneria come un’istituzione
alla quale possiamo attribuire il merito di aver diffuso concretamente gli ideali illuministici.
L’articolo è una sintesi dell’intervento che Rocchi ha tenuto nel corso dell’incontro
organizzato a Fano il 27 agosto organizzato dalla loggia Giacomo Casanova n. 1548 di
Pesaro nel bicentenario della morte di Napoleone. A introdurre i lavori Pier Paolo Persichini –
Presidente del Collegio Circoscrizionale delle Marche. Relatori Marco Rocchi e Daniele Paci
Fumelli dell’officina ospite dell’evento e Riccardo P. Uguccioni della loggia Giuseppe Mazzini
n.1244 di Pesaro. Ha concluso Marco Vignoni, Secondo Gran Sorvegliante del Grande
Oriente d’Italia. (di Marco Rocchi) Leggi su Erasmo