Firenze 28 dicembre 2010 – (Corriere Fiorentino) Il banchiere del Risorgimento, con la cassa a Livorno.
Al museo Fattori per l’«anno garibaldino» una giornata di studio dedicata ad Adriano Lemmi, massone e mazziniano Livorno. Sul lato sinistro del cartoncino di presentazione c’è lo stemma del Comune di Livorno, su quello destro l’effige del Comitato livornese per la promozione dei valori risorgimentali. Nel mezzo, senza squadre né compassi, il nome del Grande Oriente d’Italia, ovvero la più importante obbedienza massonica d’Italia. Oggi alle 17 nella sala degli specchi del museo «Giovanni Fattori», si celebra (o si discute) l’opera di Adriano Lemmi, finanziere, commerciante, mazziniano e garibaldino, tra i più importanti finanziatori del Risorgimento, gran maestro livornese della massoneria. Un’iniziativa, inserita nei festeggiamenti dell’anno Garibaldino, pensata e voluta dall’assessore alla Cultura Mario Tredici, oggi un intellettuale indipendente (ex giornalista del Tirreno), in passato orgoglioso iscritto al Pci. Non è la prima volta che tra massoneria e Comune di centrosinistra si instaura una collaborazione culturale. Che forse, come accaduto in passato, farà discutere. E forse anche un po’ sorridere i maliziosi. Ferdinando Cordova, uno dei relatori, illustre ordinario alla Sapienza di Roma, ha lo stesso cognome del magistrato che nei primi anni Novanta indagò sulla massoneria. «Se si vuole parlare della storia di Livorno bisogna inevitabilmente passare dalla libera muratoria», spiega Massimo Bianchi, gran maestro aggiunto del Grande oriente d’Italia (cioè numero due nazionale), ex vice sindaco socialista e pure lui livornese doc. L’assessore Tredici però non è incuriosito dalla storia delle logge labroniche. «Molto interessante è invece la figura di Lemmi (che massone divenne solo nel 1875 a 53 anni) soprattutto negli anni antecedenti all’unità e alla breccia di Porta Pia. Fu lui che, nel 1860 insieme al banchiere Pietro Adami, ottenne la concessione per la realizzazione delle ferrovie nel Mezzogiorno facendo arrabbiare l’aristocratico Cavour. L’affare saltò, ma il nome di Lemmi diventò di primaria importanza».
Lemmi, che fu soprannominato il «banchiere del Risorgimento» era un seguace di Mazzini. E durante l’iniziativa di oggi sarà analizzato anche questo aspetto storico controverso. Perché se Mazzini, come sostengono alcuni biografi, progettò attentati sanguinari, Lemmi fu il suo finanziatore? A questa e ad altre domande risponderanno, oltre che il professor Cordova, Giovanni Greco (Università di Bologna), Fabio Bertini (Università di Firenze), il direttore dell’archivio di stato di Livorno, Massimo Sanacore e lo stesso Massimo Bianchi.
Che precisa: «Lemmi fu un grande fratello e un grande patriota. Livorno, allora città massonica per antonomasia, aveva grandi amici. Tra questi i fratelli Jacopo e Andrea Sgarallino, anche loro liberi muratori. La famiglia Sgarallino tutt’oggi è custode della più grande collezione privata al mondo di cimeli garibaldini. Tra questi la bandiera di Curtatone e Montanara, la sciabola di Garibaldi e il famoso telegramma «Obbedisco» inviato da Garibaldi al re dal Trentino durante la seconda guerra di Indipendenza». Luci, ma anche ombre. Oggi si parlerà anche di un Lemmi coinvolto nello scandalo della banca romana. Una macchia che lo accompagnerà tutta la vita. Wikipedia lo ricorda così: «Adriano Lemmi, fu il primo a intuire l’importanza di avere a propria disposizione una loggia coperta per manovrare la finanza pubblica stando dietro il palcoscenico. Il suo programma era quello di far uscire dalle logge i poveracci e i pensatori, l’obiettivo quello di conquistare il potere».
(Corriere Fiorentino) 28 DIC 10