In quasi ogni città d’Italia esiste una
“Via XX Settembre”, ma non tutti
sanno che si riferiscono alla commemorazione
degli ambienti liberali
della Presa di Porta Pia, ovvero
del giorno in cui, 150 anni fa, i bersaglieri
del generale Lamarmora violarono
le mura aureliane di Roma per
mettere fine allo Stato temporale della
Chiesa e annettere furbe al Regno d’Italia.
«La presa di Porta Pia», ci dice padre
Giovanni Sale, gesuita, docente di Storia
contemporanea all’Università Gregoriana e redattore di Civiltà Cattolica,
«va considerata non come un evento
episodico della nostra storia nazionale,
ma all’interno di una dinamica storica
più generale, che ha coinvolto diverse
potenze. Nel 1870 finiva il predominio
politico e culturale sul continente della
Francia (protettrice del Papa) e una
nuova entità statale, la Germania, si affermava
nel cuore dell’Europa. La soppressione
dello Stato Pontificio, oltre
che segnare la fine di un’entità statale
molto antica che garantiva la libertà e
l’indipendenza del Pontefice dalle autorità
secolari, ebbe notevoli ripercussioni
per molti cattolici in Europa sul
piano non solo spirituale, ma anche politico.
In Italia allontanò i cattolici dalla
vita politica nazionale, impoverendo
così le basi di consenso del nuovo Stato
nazionale. Situazione che fu sanata soltanto
con il Concordato del 1929».
Pio IX pensò fino all’ultimo che
Vittorio Emanuele II e l’allora presidente
del Consiglio Giovanni Lanza
non avrebbero osato violare l’urbe.
«È vero. Pio IX infatti già in passato
aveva considerato la sconfitta dei garibaldini
a Mentana nel 1867 (intenzionati
a prendere con la forza Roma) da parte
dell’esercito franco-pontificio come un
chiaro segno di benevolenza divina nei
confronti della conservazione del potere
temporale. Si racconta che il Papa… (Continua a leggere l’articolo in allegato)