Stefano Bisi, Le dittature serrano i cuori. L’omicidio di Giovanni Becciolini e la
furia fascista della Notte di San Bartolomeo, Siena, Betti Editrice, 2024
“La storia è nota” è un’espressione che non si può proprio usare. Perché in
questo caso la vicenda è stata completamente dimenticata, anche nella stessa Firenze,
nonostante i fatti si siano svolti esattamente cento anni fa, nell’ottobre 1925. Se
si domandasse ai fiorentini perché la città abbia intitolato alcune vie ai nomi di
Giovanni Becciolini, Gustavo Console e Gaetano Pilati (a quest’ultimo anche una
scuola) saremmo fortunati raccogliendo l’1% di risposte consapevoli. Eppure si
tratta di una delle più sconvolgenti azioni violente durante l’ascesa del potere fascista
in Italia.
A questa storia è dedicato il libro del giornalista Stefano Bisi Le dittature serrano
i cuori, pubblicato nei mesi scorsi dalla casa editrice Betti (114 pagine per €
12,00), un volume che si focalizza sulla figura del giovane Becciolini, antifascista e
massone, attivo nel gruppo della rivista «Non Mollare», fondata proprio nei mesi
precedenti da Carlo Rosselli. Precedenti che cosa? A quella che i testimoni ribattezzarono
la “notte di San Bartolomeo”, la spaventosa rappresaglia scatenata a Firenze
tra i 3 e il 4 ottobre 1925 dalle squadre fasciste su ordine del console della milizia
Tullio Tamburini, in risposta all’uccisione del membro del direttorio del Fascio,
Giovanni Luporini, avvenuta nella notte tra il 27 e il 28 settembre, durante un’altra
spedizione punitiva nei confronti di alcuni appartenenti alla massoneria.
Per l’esattezza dal 25 settembre al 5 ottobre 1925, le squadracce fasciste fiorentine
mettono in atto una “caccia all’uomo”, una delle azioni più atroci della rivoluzione
di Benito Mussolini, saccheggiando abitazioni, negozi e studi professionali,
aggredendo con efferatezza decine di esponenti dell’antifascismo laico, repubblicano
e socialista e provocando forse la morte a più delle quattro vittime ufficiali. Tra i
crimini squadristi il tentativo di rapire Napoleone Bandinelli, maestro venerabile
della loggia Lucifero, dal quale i fascisti speravano di ottenere informazioni sul
sodalizio toscano. Il ventiseienne Becciolini, impiegato delle ferrovie e segretario
della stessa loggia, si precipita a difendere l’anziano vicino di casa e riesce a metterlo
in salvo, mentre i fascisti cercano di trascinarlo alla Casa del Fascio. Ma è Becciolini
a rimanere nelle mani dei rapitori, con l’accusa di aver provocato la morte di
Giovanni Leporini, uno degli assaltatori, raggiunto da un colpo di pistola esploso
durante la colluttazione che ha consentito la fuga del Bandinelli.
Il giovane, condotto nella sede del fascio sul Lungarno, viene selvaggiamente
torturato. Infine massacrato a colpi di pistola sui gradini dello storico mercato centrale
di San Lorenzo. Morente, è abbandonato all’orrore dei passanti poco lontano,
sotto la vasca delle Fonticine in via Nazionale, che ne bagnano il cadavere.
Nella stessa notte i fascisti hanno aggredito nelle loro case e ferito a morte l’ex
deputato socialista e mutilato di guerra Gaetano Pilati e l’avvocato Gustavo Console,
corrispondente dell’«Avanti!», e dato alle fiamme la villa del Gran Maestro del
Grande Oriente d’Italia, Domizio Torrigiani, nei pressi di Pistoia.
Stefano Bisi ricostruisce l’intera vicenda con stile giornalistico. Nelle pagine di
Le dittature serrano i cuori sembra rivolgere il microfono dell’intervistatore ai testimoni
sopravvissuti all’eccidio. In realtà ha recuperato le loro memorie in libri,
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articoli e atti giudiziari. Con il garbo e la pietà che meritano i familiari delle vittime
e con la curiosità di chi riscopre una pagina dimenticata e importante della nostra
storia. Non scioglie l’enigma su quanto accaduto nello studio di Napoleone Bandinelli,
quando Becciolini spegne a luce per consentirgli di fuggire via dai tetti. Chi ha
schiacciato il grilletto? Il giovane antifascista? O nel buio della stanza qualcuno
degli stessi assalitori? Non è importante saperlo – sembra suggerire Bisi – nel complesso
delle atrocità che imbrattano di cenere e sangue la culla dell’umanesimo.
Il volume del giornalista senese è però un’occasione propizia, alla vigilia del
centenario dei fatti narrati, per riaccendere l’attenzione politica e la curiosità storiografica
su una vicenda ancora dai contorni incredibilmente indefiniti. L’invito alla
città di Firenze a celebrare degnamente un anniversario emblematico dei fondamenti
della democrazia italiana, che meriterebbe il concorso di tutte le istituzioni culturali
locali. C’è ancora tempo sufficiente.
Nicola Novelli