“Anche Totò sarebbe fuori dal cda”. Sulla Stampa di Novara la replica del Gran Maestro sulla vicenda della nomina al vertice del Teatro Coccia

[su_box title=”La Lettera. ‘Totò, il teatro e la massoneria’” box_color=”#79accb” title_color=”#ffffff”]Con riferimento alla posizione della presidente della Fondazione Teatro Coccia, dottoressa Carmen Manfredda, consistita nella pretesa di far dichiarare l’appartenenza alla massoneria da parte dei consiglieri occorre assumere una posizione ufficiale rispetto a quello che si ritiene essere un vero e proprio atto persecutorio contrario a diritto. (continua a pagina 11) [/su_box]

“Anche Totò sarebbe fuori dal cda”

di Stefano Bisi*
L’art. 3 della Costituzione garantisce a tutti i cittadini parità di trattamento indipendentemente dal sesso, dalla razza e dalla religione. L’art. 18 della stessa Costituzione garantisce la libertà di associazione parimenti all’art. 11 della Carta fondamentale dei diritti dell’uomo che assicura la libertà di associarsi e di unirsi liberamente. Nessuna legge dello Stato impone di dichiarare il proprio credo e la propria fede, ragione per cui la pretesa della dottoressa Manfredda è da considerarsi una vera e propria prevaricazione per mettere al bando cittadini che hanno fatto scelte intellettuali e spirituali di vita perfettamente compatibili con la legge dello Stato. Si ricorda infatti alla dottoressa Manfredda che nella massoneria, una volta ammessi, si giura di rispettare la Costituzione e le leggi dello Stato e di non compiere alcuna attività contro diritto, si lavora sotto la bandiera Italiana e si canta «Fratelli d’Italia», guarda caso, inno scritto dal massone Mameli, morto nel tentativo di difendere la Repubblica Romana. Inoltre si fa presente che nella massoneria viene applicata, per rimanerci, la regola aurea della squadra del compasso: un massone, se vuole migliorare se stesso, deve compiere solo azioni rette (squadra) secondo le proprie capacità (apertura del compasso). Lo stesso Gramsci, che pure riteneva la massoneria il partito della borghesia italiana, il 16 maggio 1925, nella riunione della 17esima legislatura alla Camera dei deputati del Regno d’Italia, si schierò contro la legge con la quale lo Stato fascista, da un lato rimuoveva dal grado e dall’impiego i dipendenti dello Stato appartenenti alla massoneria, e dall’altro imponeva, come peraltro vorrebbe fare la dottoressa Manfredda, che «i funzionari, impiegati, agenti civili e militari suddetti sono tenuti a dichiarare se appartennero o appartengono, anche in qualità di semplici soci, ad associazioni…». …La questione riguarda la libertà delle persone e il diritto alla loro riservatezza per quanto concerne la sfera del credo e del pensiero. Personalmente, se la dottoressa Manfredda avesse preteso di censire gli zingari, gli ebrei, gli omosessuali o i comunisti come i massoni, le avremmo risposto: io sono zingaro, io sono ebreo, io sono omosessuale, io sono comunista. La serietà e fiducia negli atti delle persone risiede esclusivamente negli atti della persona stessa e non nell’appartenenza a questa o quella associazione, chiesa, partito o sindacato. Oltre ai precetti costituzionali menzionati, tale richiesta violerebbe palesemente l’art. 8 della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’art. 1 del Regolamento UE 2016/679, gli articoli 1 e 2 del dlgs 196/2003 che prevedono come il diritto alla riservatezza dei propri dati personali sia un diritto fondamentale di ogni cittadino, anche di quelli iscritti alla massoneria del Grande Oriente d’Italia, che non può essere oggetto di discriminazione alcuna. Per la dottoressa Manfredda neppure Antonio De Curtis avrebbe potuto sedere nel consiglio della Fondazione Teatro Coccia. Pensate un po’, anche Totò la sera andava in Loggia.

*Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

[su_document url=”http://www.grandeoriente.it/wp-content/uploads/2018/06/La-Stampa-Novara-15.06.2018.pdf”]



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